PUTIN BOMBARDA I BIMBI: NOI CHE FACCIAMO?

268

Da Libero del 10 luglio il commento di Daniele Capezzone:

“Premessa: chiunque non sia del tutto scollegato dalla realtà vede, sente, percepisce che una parte molto significativa dell’opinione pubblica internazionale – comprensibilmente – desidera la fine della guerra in Ucraina.

Solo un matto potrebbe ardentemente augurarsi il contrario: e cioè una prospettiva di guerra infinita e addirittura indefinita. Non solo: sarebbe stato dovere del nostro Occidente, da tempo, preparare gli ucraini alla prospettiva di inevitabili quanto dolorose concessioni territoriali.

Recuperare il terreno perduto appare molto difficile per Kiev: e dunque sarà il realismo, a un certo punto, a imporre di tirare una linea e di prendere atto di come i rapporti di forza sul campo saranno fotografabili in quel momento.
Tuttavia, se non abbiamo smarrito del tutto i princìpi che dovrebbero animarci, se non abbiamo già completamente svenduto i nostri valori di libertà e democrazia, l’aggressione della Russia di Putin non può rimanere senza conseguenze.
Non giriamoci intorno: il nostro (nostro come occidentali) atteggiamento verso l’Ucraina è stato vile.

Non vogliamo inviare uomini (comprensibile), ma ci limitiamo a spedire il minimo indispensabile delle armi (e qui già si comprende meno), e per giunta pretendiamo che l’uso di questo materiale sia solo “difensivo” (e qui non si comprende più).

Insomma, sosteniamo (o diciamo di sostenere) un pugile mentre il suo avversario lo picchia selvaggiamente, ma al tempo stesso imponiamo al “nostro” boxeur di combattere con un braccio legato dietro la schiena.
Ragionevolezza avrebbe suggerito di scegliere altri schemi: o un sostegno più robusto, per aiutare Kiev a vincere, e non solo a non perdere (o a non perdere troppo nettamente), oppure – da subito – l’offerta all’Ucraina di un doppio ombrello da far scattare per evitare che un’eventuale pausa del conflitto si risolva in un mero intervallo prima di una nuova aggressione da parte di Putin. E questo doppio ombrello consisterebbe per un verso in un vero percorso accelerato di adesione all’Ue, e per altro verso (cosa assai più significativa) nell’inclusione all’interno della Nato, ovviamente solo a conflitto concluso. Anche perché fummo proprio noi occidentali a far disarmare e denuclearizzare gli ucraini (con l’accordo di Budapest del 1994): Kiev si fidò, in particolare credette alle assicurazioni di Mosca e di tutti i firmatari sull’integrità territoriale ucraina, e oggi sappiamo quanto male sia stata riposta quella buona fede.
Oggi invece, in particolare per le oscillazioni di Joe Biden, le piccole furbizie di Emmanuel Macron e le profonde ambiguità di Olaf Scholz, nessuno sa quale sia davvero la linea occidentale, se non predicare ad alta voce nei giorni pari e poi lasciare, nei giorni dispari, che Putin faccia quel che vuole.
Tutti attendono il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il quale, nei suoi precedenti quattro anni di presidenza, forse non sempre predicò bene, ma in compenso razzolò benissimo.

Non uno dei “cattivi” del mondo, durante il suo mandato, guadagnò posizioni; l’operazione ”Accordi di Abramo”, in Medio Oriente, fu eccellente e capace di coinvolgere Gerusalemme e Riad isolando saggiamente Teheran. E anche rispetto alla Russia, i comportamenti reali di Trump sono sempre stati assai migliori dei suoi discorsi: è stato Trump a criticare la Germania e l’Ue per la loro eccessiva dipendenza dal gas di Mosca (e aveva ragione lui); è stato sempre Trump a rifornire Kiev degli efficacissimi missili javelin; ed è stato ancora Trump a spiegare a Bruxelles-Parigi-Berlino che non potevano permettersi ambiguità e posizionamenti “terzi” tra Occidente e potenze eurasiatiche.

Certo, Trump è stato inseguito per anni dalle ombre del Russiagate, cioè di una presunta collusione con Mosca: ma quelle accuse sono rimaste senza prove, e i suoi comportamenti alla Casa Bianca sono stati limpidi. Non altrettanto si può dire – purtroppo – di alcuni suoi recenti interventi in questo 2024, in cui la (fondatissima) critica a Biden e ai leader occidentali è talora sconfinata in un (non condivisibile) ammiccamento a Putin.

E allora eccoci di nuovo in mezzo al guado, alle prese con le incertezze e le fragilità di Biden. Il quale non sembra avere né la forza o la volontà per assistere Kiev in modo tale da consentire agli ucraini di non perdere troppo terreno sul campo, né la convinzione per farsi promotore di un accordo di pace che non premi eccessivamente gli aggressori russi.

In tutto questo, Viktor Orban vaga tra Mosca e Pechino, cumulando ragioni (quando da Bruxelles gli si muove un ingiusto processo alle intenzioni) ma anche torti (quando sibila frasi del tipo: «Putin sa come vincere»). E lo stesso Putin, al quale i suoi ventriloqui occidentali prestano un’inesistente volontà di pace, scatena un’ennesima offensiva esplicitamente rivolta contro obiettivi civili, incluso – il che dovrebbe suscitare orrore in tutti – un ospedale pediatrico ucraino.
E invece, perfino in questo caso, è iniziato l’indegno teatrino dell’offuscamento delle verità. Abbiamo dovuto leggere quotidiani e ascoltare commentatori che non sono riusciti a condannare nemmeno quest’atrocità russa, e si sono limitati a registrare freddamente un rimpallo di responsabilità; e abbiamo assistito al solito circo di avvelenatori online, bot e troll, che mistificano e accreditano versioni false e di comodo, guarda caso sempre a favore di Mosca.

Sta di fatto che alcuni non paiono vergognarsi di alimentare questo genere di giochetti nemmeno sulla pelle dei bimbi ucraini malati e bombardati da Mosca. E tutto questo avviene – significativamente – proprio mentre si apre il vertice Nato: è come se Putin vedesse le faglie, le insicurezze, le divisioni nel nostro campo, e cercasse di sfruttarle fino all’ultimo istante utile.

A maggior ragione, sarà bene ricompitare princìpi che credevamo acquisiti e che invece – di tutta evidenza – non lo sono: tutti vogliamo la pace, ma il punto è come realizzarla. Lo si può fare (com’è accaduto quando l’Occidente era forte, guidato da Ronald Reagan e Margaret Thatcher) attraverso la deterrenza, cioè una palese superiorità delle nostre forze militari, tale da scoraggiare preventivamente i cattivi del mondo.

O invece lo si può fare (come desiderano i nostri nemici) tramite un timoroso appeasement, cioè compiacendo i tiranni e lasciandogli fare – a tappe – esattamente quello che vogliono. Si sta purtroppo realizzando la seconda opzione: con troppi protagonisti, da questa parte del mondo, che fingono di non accorgersi di come Pechino, Teheran e Mosca già lavorino fianco a fianco, per costruire un futuro in cui siano le loro dittature a dominare il mondo. Consentirglielo è suicida.”