“SEROTONINA” (recensione a cura di Giacomo Pezzuto)

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Recensire un libro del calibro di Serotonina, dell’autore francese Michel Houellebecq, edito in Italia nel 2019 dalla casa editrice La Nave di Teseo, è impresa assai ardua.
Ambientato nella Francia dei nostri giorni, il romanzo (che prende il nome dall’omonimo “ormone del buon umore”) ha come protagonista Florent-Claude Labrouste, alto funzionario del Ministero dell’Agricoltura, che vive in maniera agiata nella periferia parigina, assieme alla sua compagna giapponese, di molti anni più giovane. La scoperta delle losche abitudini sessuali della ragazza, lo induce a lasciare nottetempo il suo appartamento e a far, letteralmente, perdere le sue tracce, vagando per la capitale francese, spostandosi da un albergo all’altro.

Essendo un uomo fortemente depresso, Labrouste si arrende, passo dopo passo, all’angoscia che sfocia in un crollo psicologico senza scampo. Egli è un accanito fumatore, oltre che un alcolizzato ed è tormentato dall’insonnia, che non gli lascia tregua. Per fronteggiare questa situazione, fa uso del Captorix, un antidepressivo (fittizio) che favorisce la produzione della serotonina. Un farmaco che, usando le parole del protagonista: “aiuta gli uomini a vivere, o almeno a non morire per qualche tempo”. Tuttavia, vi è una grave controindicazione: alla lunga, il medicinale porta inesorabilmente alla totale impotenza.

A fare da cornice, troviamo la violenta rivolta dei contadini e degli allevatori francesi (tacito, ma neanche tanto, parallelo con le proteste dei gilet gialli), contro l’abbassamento del prezzo del latte, che non consente loro di portare avanti le loro piccole imprese, a vantaggio delle grandi multinazionali.
Tantissimi sono i temi toccati dall’autore nel romanzo. Il più importante di tutti è quello della solitudine dell’uomo contemporaneo. Un problema che la nostra società non ha compreso fino in fondo e non sta affrontando con i dovuti mezzi. La solitudine porta all’alienazione dell’uomo dal contesto in cui vive. Viviamo in un mondo fortemente e inesorabilmente globalizzato, che non permette più di coltivare le relazioni umane, vero motore della vita, e non il profitto ed il libero mercato, che Houellebecq sottopone a critica serrata. Ecco, perché, a detta dell’autore, bisognerebbe cercare di riscoprire l’essenziale, la semplicità. Anche il semplice amore di una donna o la pacca sulla spalla di un amico, possono salvare un individuo destinato allo sconforto.
Emblematiche sono le parole del protagonista, quando afferma che: “Parigi, come tutte le città, era fatta per produrre solitudine. E noi abbiamo forse ceduto a illusioni di libertà individuale”.
Mi sia consentito di concludere con le parole di Alessandro Litta Modignani, prese da un suo articolo sul quotidiano Il Foglio: “Se la buona letteratura è quella che riesce a esprimere lo spirito del tempo, senza dubbio Michel Houellebecq deve essere considerato un grande scrittore”.

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