STEPHEN HAWKING E LA MENTE DI DIO (di Cosimo Galasso)

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Stephen Hawking

Il 14 marzo 2018 è deceduto Stephen Hawking, probabilmente il più grande astrofisico contemporaneo, nonché matematico di prima grandezza, tanto da aver ricoperto, per quasi 30 anni, il ruolo di titolare della cattedra lucasiana di matematica, presso l’università di Cambridge, la stessa occupata, tre secoli prima, dal grande Isaac Newton.

Notissimo presso il grande pubblico – basti pensare che il suo libro divulgativo più diffuso, Dal Big Bang ai buchi neri. Una breve storia del tempo, ha venduto 25 milioni di copie (!) – più per le sue prese di posizione contro Dio, a suo dire suffragate dalla scienza, che non per i suoi effettivi meriti scientifici, che sono, tuttavia, enormi. Ha fornito i maggiori contributi alla nostra comprensione di una delle forze fondamentali della natura: la gravità. Il suo grande limite è stato quello di voler mischiare, a tutti i costi, fisica e metafisica, usando come “scappatoia” uno dei pilastri della fisica moderna: la meccanica quantistica, con le sue presunte “stranezze”.

Partendo da esse, nel 2010 lanciò un suo libro, The Grand Design, con queste parole: «La creazione dell’universo si può spiegare anche senza l’intervento di Dio, poiché le ultime scoperte scientifiche hanno dimostrato che esistono alternative all’idea che esso sia nato dalla mano divina (…) La creazione dell’universo – afferma Hawking – è stata semplicemente una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica”.

Sobbalzarono in tanti, ma Hawking fu bacchettato soprattutto da studiosi di gran livello, credenti e non. Un filosofo, non certo sospettabile di simpatie clericali o affetto da manie apologetiche, come Massimo Cacciari – sul Corriere della Sera del 3.09.2010 – ha, forse, meglio di tutti, colto e stigmatizzato questo errore in maniera icastica: «Nulla è più assurdo e antiscientifico di pretendere che un linguaggio specialistico fornisca risposte universali. È una contraddizione logica, quella di Hawking, che ha qualcosa di comico e non va nemmeno presa in considerazione. Meglio avrebbe fatto a leggersi la “Dialettica trascendentale” di Kant». Non dissimile, sempre nello stesso articolo, il parere di uno scienziato, il prof. Tommaso Maccacaro, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, che dopo aver analizzato i punti principali della teoria di Hawking (presenza di altri sistemi solari simili al nostro, di altri possibili universi, l’idea che si possa raggiungere un equilibrio fra la teoria quantistica del mondo subatomico e quella della gravità) ha concluso: «Nessuno di questi punti può servire come base per una discussione su Dio, perché le cose sono totalmente disgiunte. Mi sembrano affermazioni talmente irrazionali da far sì che qualsiasi teologo ne possa fare un solo boccone».  

La meccanica quantistica, la forma di scienza più precisa della quale disponiamo, spesso è usata a sproposito, sia da credenti e da non credenti, che si rifugiano dietro le sue apparenti “stranezze” o per affermare o per negare Dio. Tali stranezze, in realtà, dipendono solo dall’impossibilità, da parte dell’uomo, di accedere a misure esatte; ma tali misure esistono. Molto significativo, sul punto, quanto scritto nel Libro di Giobbe, nel par. 38; in esso Jahweh, con molta ironia, rimprovera Giobbe per essersi comportato come un essere eterno ed onnisciente. Lo studioso Stefano Virgulin, dopo averlo tradotto, così commenta il brano suindicato: «La creazione del mondo è descritta come la costruzione di un edificio, con pietra angolare, fondamenta e misure note solo a Dio (…) La pericope è uno dei brani più smaglianti della poesia ebraica.». Qualche versetto prima, l’atteggiamento di Giobbe sembra paragonabile a quello di tanti scienziati moderni, Hawking in testa, che erroneamente ed emotivamente, non sul piano scientifico, contrappongono scienza e fede; Jahweh, invece, si rivolge a Giobbe in modo indiretto, spiegandogli come ha fatto il cosmo. Molto pertinente, ancora una volta, si rivela il commento del traduttore: «L’universo è un capolavoro, di cui solo Dio conosce il progetto: Giobbe denigra ciò che è impervio alla ragione e considera arbitrario ciò che è difficile a capirsi, perché il suo giudizio limitato non abbraccia il disegno totale di Dio».  Incredibilmente, e senza volerlo, 2500 anni dopo, Hawking si è comportato quasi come Giobbe!

Parafrasando una celebre affermazione di Einstein: é vero che Dio non gioca a dadi con l’universo, ma l’uomo si!  Il contributo più valido, che la fisica quantistica rende alla metafisica, è questo: la conoscenza assoluta, all’uomo, é preclusa in via di principio. Non esisterà mai alcun progresso teorico e /o tecnologico tale che permetterà la violazione del principio d’indeterminazione di Heisenberg.  Hawking, è questo il suo contributo più importante, dimostrò proprio un’applicazione pratica di tale principio.

Capì che l’universo deve aver avuto un inizio, come dogmatizzato dal Concilio Lateranense IV, nel 1215, ma che l’uomo non poteva e non potrà mai indagare quell’inizio, l’istante t=0, ma può farlo “solo” partendo da 10 alla meno 43, istante piccolissimo, ma pur sempre infinitamente e, dunque, qualitativamente, diverso da zero. Zero, che è e sarà, sempre e soltanto, noto solo a Dio. La cosa più incredibile e paradossale, è che per il resto della sua vita, Hawking, tentò di demolire, in spregio a Dio, proprio la validità dei suoi teoremi! Cosa, ovviamente, impossibile. Per fare un esempio banale: é come se Pitagora, dopo aver scoperto il suo celebre teorema, avesse poi tentato, per tutta la vita, di dimostrarne l’invalidità!  

Tuttavia la vicenda Hawking è per noi di grande insegnamento, anche e soprattutto riguardo al profilo morale. Nei giorni immediatamente seguenti la sua morte, l’on. Cappato, sul suo profilo Facebook, ne ha approfittato per tirare, secondo lui, acqua al mulino di quanti si battono per arrivare all’approvazione di una legge eutanasica vero nomine anche in Italia, discettando di vite più o meno degne di essere vissute. Fra tutte le risposte ricevute dai lettori, mi è sembrata particolarmente adeguata quella scritta dal dott. Cosimo Epifani. Ne riporto una parte: ”In Hawking abbiamo la dimostrazione che i medici sbagliano: non 5 anni ma 50! La dimostrazione che un uomo per quanto sofferente e disabile, può restituire senso e valore per se stesso e per gli altri, se è incoraggiato e sostenuto (…) A dispetto di chi – tarato ideologicamente- vuol sostenere a priori che questa non è vita. Invece abbiamo visto con i nostri occhi, che anche questa è vita … Che una vita vale una vita. Che una persona vale in quanto persona.”.

Notevole, difficile dir di meglio. Chiudo, ovviamente, con le parole dello stesso Hawking: «Ricordatevi di guardare le stelle e non i vostri piedi… Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare, e in cui si può riuscire».

 

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