STORIA DI BAKHITA: SCHIAVA SANTA FRA GLI SCHIAVI

2024

bakhita.jpg Dalla ricostruzione della sua vita si intuisce che la Santa Bakhita nacque verso il 1869 in uno sperduto villaggio del Sudan occidentale, l’odierno e tor men tato Darfur, dove trascorse serenamente gli anni dell’infanzia nella propria tribù di pastori e di agricoltori fino a circa sei anni. Il primo ricordo che conserverà di quel breve periodo felice è il rapimento della sorella maggiore, quando lei avrà avuto si e no quattro anni. Bakhita era allora sfuggita per un soffio alla cattura, perchè proprio la sorella l’aveva nascosta sotto un mucchio di fieno. Ma dopo un paio d’anni le toccò analoga sorte: durante una razzia un predone arabo la rapì, e più lei tentava di divincolarsi più si abbatteva lo scudiscio sulle sue piccole gambe. Arrivata in un villaggio arabo, per giorni e giorni restò chiusa in una specie di porcile. Lo spavento che ne seguì impedì alla bambina di conservare il ricordo della sua precedente vita, tanto da dimenticare anche il suo nome: così uno dei predoni le attribuì, ironicamente, il nome di Bakhita, che voleva dire “felice”, “fortunata”. Venduta ad un mercante di schiavi, fu costretta a marciare in una carovana di uomini e donne legati con un collare di ferro ad una stanga rigida: andavano verso il nord del Sudan, allora controllato da Egiziani ed Ottomani. Erano gli anni immediatamente precedenti alla rivolta mahadista, quando i fondamentalisti musulmani in contrapposizione ai Turco-Egiziani, considerati troppo laicisti, conquistarono Khartoum massacrandovi tutti i residenti occidentali.Bakhita passò di mano in mano, finchè la ragazza fu comprata da un generale turco. Durante quelle peripezie – fra le tante – indelebile resta il ricordo di una scena straziante: “Una mamma portava in braccio il suo bambino di pochi mesi. Lo spavento e il dolore le avevano inaridito il seno: e il bambino chiedeva invano, con i suoi gemiti, il latte materno. Il padrone ingiunse alla madre di farlo tacere. Continuando il bambino a piangere, essi si infastidirono e si vendicarono percuotendo la donna. Poi il capo della carovana le strappò il bambino e con aria di sfida mostrò alla madre come egli lo avrebbe fatto tacere. La povera madre diede un urlo e si lanciò contro l’arabo, ma questi, afferrato il bimbo per un piede, lo roteò nell’aria e, dopo aver cacciato via la madre, sfracellò la testa del bambino contro una grossa pietra Si vide allora la disperazione della madre diventare feroce. Essa si avventò sull’uccisore graffiandolo con le unghie e mordendolo come una iena: ma questi, con colpi di staffile, la ridusse all’impotenza. Caduta al suolo, non fu più possibile rialzarla. Allora il capo infierì su di lei barbaramente fino a farla morire. Pochi istanti dopo la carovana riprese il cammino” (cfr.: Santa Giuseppina Bakhita, in: Ritratti di Santi, Antonio Sicari, Jaca Book, Milano, pag. 794).
Nella casa del generale Bakhita si rese conto di essere solo una delle tante schiave contro cui l’uomo scatenava le sue passioni più violente. Le schiave erano spesso frustate con delle verghe, fino a quando non si riempivano di piaghe. Anche le donne della casa non erano da meno quanto a crudeltà. Fra le molte angherie, spesso del tutto gratuite, vi era anche l’abitudine di incidere con un rasoio il corpo nudo delle giovani schiave, per ricavarne dei disegni sulla pelle: le labbra delle ferite venivano aperte e stropicciate ripetutamente con del sale, in modo che le cicatrici rimanessero sporgenti e quindi indelebili.
Racconta la futura santa: ”
Portata la prima sul giaciglio viene il mio turno. Non avevo fiato di muovermi, ma uno sguardo alla padrona e allo scudiscio alzato mi fecero piegare immediatamente a terra. La donna, avuto ordine di risparmiarmi la faccia, comincia a farmi sei tagli sul petto e poi sul ventre fino a sessanta. Sul braccio destro quarantotto. Come mi sentissi non lo potrei dire. Mi pareva di morire ad ogni momento, specie quando mi stropicciò con il sale.
Immersa in un lago di sangue fui portata sul giaciglio dove per più ore non seppi più nulla di me. Quando rinvenni mi vidi accanto le mie compagne, che al par di me soffrivano atrocemente. Per più di un mese tutte e tre fummo condannate a stare lì, distese sulla stuoia senza poterci muovere, senza una pezzuola con la quale asciugare l’acqua che continuamente usciva dalle piaghe semiaperte per il sale. Le cicatrici mi durano ancora. Posso proprio dire che non sono morta per un miracolo del Signore che mi destinava a migliori cose
” (cfr.: Bakhita, di Roberto Italo Zanini, Edizioni San Paolo, 2000, pag. 49).
In effetti non tutte le schiave riuscivano a sopravvivere a quella tortura Un’altra volta Bakhita fu chiamata direttamente dal padrone, che con tutta la sua forza iniziò a torcerle le mammelle, ”
come fossero stracci lavati“. Per più giorni il turco ripetè quell’operazione, fino a modificare il seno di Bakhita, per lui troppo “spiccato”: “ Il padrone torceva questa mia carne già tanto martoriata e la premeva per sciogliere anche i più piccoli nodi, e io dovevo star ferma, altrimenti sarei stata anche frustata. Ora io sono come una tavola liscia” (cfr.: Santa Giuseppina Bakhita, in: Ritratti di Santi, Antonio Sicari, Jaca Book, Milano, pag. 796).
Nonostante ciò, per un puro caso che successivamente Bakhita non esiterà a considerare come un miracolo, non fu mai violentata. A Khartoum fu di nuovo venduta, ma la Provvidenza volle che l’acquirente fosse un occidentale: il console italiano nella città.
E la stessa Provvidenza volle che quel console la portasse con sè in Italia, e che ancora un’altra famiglia italiana, a cui era stata affidata, le facesse conoscere, quasi per caso, le suore canossiane di Venezia. Da lì alla scelta religiosa il passo fu breve, anche se assai osteggiato. La famiglia Michieli, che la aveva in consegna, voleva infatti riprendersi Bakhita per riportarla in Africa, dove era destinata a servire in un albergo di loro recente proprietà. Ricorda Bakhita: “
Il reverendo superiore dell’Istituto, don Jacopo de’ Conti Avog adro di Sor anzo, scrisse a Sua Eminenza il Patriarca Domenico Agostini sul da farsi. Questi ricorse al Procuratore del Re il quale mandò a dire che, essendo io in Italia, dove non si fa mercato di schiavi, restavo affatto libera ” (cfr.: Bakhita, di Roberto Italo Zanini, Edizioni San Paolo, 2000, pag. 72).
Così la ex-schiava Bakhita, che prenderà il nome di Suor Giuseppina, oramai libera, vivrà per lunghi anni a Schio. Qui potrà concludere i suoi giorni in convento, ammirata e amata dalle consorelle. Morirà l’8 febbraio 1947 a 78 anni.
Il 1° dicembre 1978 Giovanni Paolo II firmò il decreto sull’eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita e il 17 maggio 1992 la proclamò Beata.
Il 1° ottobre 2000 verrà iscritta nell’albo dei Santi.


Roberto Cavallo

7 Commenti

  1. Grazie per averci fatto conoscere qusta Grandissima serva del Signore che sia diesempio a me e alla mia famiglia per chè oggi non si può più vivere senza questi esempi di grandezza esemplare e di amore verso Dio pur non conoscendolo
    ancora grazie Rino

  2. Ringrazio,Roberto Cavallo per aver scritto questo articolo sulla vita di Santa Bakita,della quale ho un’immaginetta di quando era ancora Beata e non so neanche chi me l’abbia data.
    Dopo aver visto il film sulla sua vita, ero rimasta particolarmente sconvolta e ora leggendo quello che c’è scritto quì,rimango meravigliata che un’essere umano dopo aver subito tutto quello che ha subito lei,abbia avuto ancora così tanta fede da perdonare tutti quelli che le avevano fatto tanto male per poter farsi suora!
    Che Dio ti benedica Santa Bakita e dal cielo prega perchè un giorno ci possa essere un mondo migliore per tutti!

  3. Ho visto il film ma mi sconvolge quel che leggo .. grande donna di luce e amore Santa Bakhita. Affido il martoriato Sudan a lei. Amen.

  4. come è possibile all’uomo tanta crudeltà! e come è possibile sopportare tanto dolore ed umiliazione! resta inimmaginabile ai giorni nostri. E’ una storia di perdono e amore bellissima, che entra nel profondo del cuore e ti fa dire grazie Santa Bakhita!

  5. sembra impossibile che siano esistite persone così umili e grandi, piene d’amore per tutti.
    bakhita ho conosciuto stasera la tua storia e mi ha lasciata sbalordita, prega per tutti noi e aiutaci ad aiutare:

  6. Uno dei comandamenti, una delle raccomandazioni, più difficili, dell’insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo, è “Amate i vostri nemici”. Santa Giuseppina Bakhita ha perdonato i suoi nemici e, cioè, li ha amati: è ora, per sempre, nello splendore della santità, in Paradiso | Ringraziamola del suo splendido esempio e preghiamola di aiutarci tutti !

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