TRILUSSA E LA PUBBLICITA’ (di Claudio Tescari)

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Il poeta Trilussa, il cui vero nome era Carlo Alberto Camillo Salustri, nacque a Roma in Via del Babuino il 26 ottobre 1871, da madre bolognese e di padre nativo di Albano Laziale. Il successo e la diffusione dei suoi versi lo collocano, subito dopo Giuseppe Gioacchino Belli, quale poeta della romanità moderna. Ma la gran diffusione dei suoi libri, pubblicati e periodicamente ristampati dal grande editore Arnoldo Mondadori, non riuscì a garantirgli una vita agiata. Visse modestamente in appartamenti d’affitto e quando morì, il 21 dicembre 1950, era stato nominato Senatore a vita da appena tre settimane. Era molto alto e amava percorrere a grandi passi le strade eleganti di Roma, facendosi notare anche per la stravaganza nel vestire. Ettore Petrolini così lo descrisse in versi: “E’ Trilussa quella cosa che la vedi ogni momento. Lui ti dà l’appuntamento a quell’ora che non c’è”.

L’inaffidabilità di Trilussa era proverbiale. E pure il suo bisogno di soldi! Per questo, una volta affermatosi a livello nazionale, non disdegnò di comporre delle rime anche per la pubblicità di prodotti e di ditte in diversi rami commerciali. Ecco alcuni esempi.

Per le Lanerie Valle, una terzina

La vecchia canta – Allegre, pecorelle

le lane che se fileno da Valle

diventeno più morbide e più belle.

Una quartina per la Legatoria Ciottarello:

Se ce mette la mano Ciottarello

qualunque libbro sia, diventa bello.

Dunque coraggio, letterati, avanti,

ciavete chi ve lega a tutti quanti.

Per l’autoscuola Strano, un’altra quartina:

Chi si abilita da Strano

è padrone del volano:

vada presto o vada piano

ha il pensiero nella mano.

Per il liquore Sciascino:

In un sorso di Sciascino

c’è dell’uovo e c’è del vino,

e così tra il vino e l’uovo

mi rinforzo e mi rinnovo.

Ancora una quartina per la linea del transatlantico Giulio Cesare:

Doppo d’avé filato tante mija,

doppo d’avé passato tanto mare,

sbarco dar Giulio Cesare e me pare

c’abbandono la casa e la famija.

Un componimento più ampio ed articolato nella metrica, per l’ottica Salmoiraghi:

Quattro fate e quattro maghi

fan le lenti Salmoiraghi

per vedere chiaro e tondo

quel che accade in questo mondo.

 Attraverso quei cristalli

bianchi, azzurri, neri e gialli

puoi scrutare nettamente

sia le cose che la gente

contemplandoti il creato

nel colore che ti è grato.

Infine, due sestine per il medicinale “La pasticca del Re Sole”, tuttora nelle nostre farmacie:

Loreto è un pappagallo ammaestrato.

Se quanno parlo co’ Ninetta mia

s’accorge ch’entra in camera la zia

tosse e fa finta d’esse raffreddato:

e noi che lo sapemo, appena tosse

se damo l’aria come gnente fosse.

 Però la zia, ch’è furbe e che capisce,

jeri se ne sortì co’ ste parole:

Je darò le Pasticche der Re Sole,

perché co’ quelle è certo che guarisce;

ma se per caso seguita a sta’ male

è segno ch’è una tosse artificiale.

I creativi di oggi giudicheranno queste rime una forma assolutamente primitiva e inadeguata di comunicazione pubblicitaria, eppure 70 – 80 anni fa era in linea con gli spot che venivano trasmessi alla radio e con le inserzioni pubblicitarie sulla stampa periodica. La sensibilità del pubblico verso la poesia, letta o recitata, era più elevata e alcuni di questi versi li ho sentiti ripetere a memoria, mezzo secolo dopo, da anziani parenti o conoscenti. Erano diventati per loro un “tormentone” pubblicitario, ma di un’eleganza oggi definitivamente perduta.

 

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