UN VIAGGIO AL CONTRARIO…DALL’ORIENTE ALL’EUROPA (Il Corriere del Giorno, 14 settembre 2008, pag. 6)

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“Viaggio fra i Cristiani d’Oriente” è il libro del francese Frederic Pichon edito in Italia da Lindau nel 2008 per la collana “I Pellicani” (pagg. 212, euro 19,00). L’opera costituisce un’amena lettura, perché ha il pregio di coniugare il fascino tipico di certi diari di viaggio con la riflessione sulla condizione, giorno dopo giorno più difficile, dei Cristiani d’Oriente.

E’ un viaggio al contrario: non dall’Europa all’Oriente, ma dall’Oriente all’Europa. Ed infatti l’Autore, giovane ricercatore universitario, dopo un’esperienza libanese lunga due anni, si appresta a far ritorno in Francia.

Nel suo viaggio verso casa decide però di compiere un giro largo, toccando i luoghi più significativi della presenza cristiana lungo l’itinerario del ritorno: Libano, Siria, Turchia, Grecia. Incontra vecchi amici ma anche tante nuove persone che lo guideranno in quest’avventura unica, ricca di testimonianze del presente ma, soprattutto, del passato.

Cominciando dal Libano del Sud, dove il confine contestato fra Israele ed Hezbollah fa intravedere la Terrasanta, l’Autore riferisce che fra Tiro e Sidone si contano ancora 10.000 cristiani e che, dopo l’abbandono di Israele e delle sue milizie alleate dell’Els (Esercito libanese del sud), ne sono andati via oltre 2000. Ci sono dei villaggi nella parte oggi controllata da Hezbollah dove la popolazione cristiana si è ridotta dal 75% al 10%.

Fra le tappe del viaggio attraverso il Libano c’è anche la cittadina martire di Damour: “Damour è il simbolo del peggior impeto di violenza che ebbe luogo durante la guerra civile. Un mattino del gennaio 1976 i palestinesi, spalleggiati da volontari dei vicini paesi arabi, avevano selvaggiamente punito la piccola città costiera che aveva la colpa di essere cristiana … centinaia di vecchi, di donne e di bambini trincerati nelle chiese erano stati selvaggiamente ammazzati, sgozzati, violentati, mentre i rari sopravvissuti erano riusciti a fuggire via mare…” (pag. 66).

Passando per i valichi delle montagne dell’Antilibano si lascia la terra dei maroniti (la comunità cristiana più numerosa del Libano) e si entra in Siria.

La Siria è il regno incontrastato della famiglia Assad, che governa con pugno di ferro da due generazioni. Qui sopravvive uno dei due grandi partiti Baath mediorientali: l’altro è quello irakeno ormai distrutto dalla guerra. Il partito Baath fu fondato proprio da un cristiano ortodosso siriano, un certo Michel Aflaq, e fondava il suo credo sul nazionalismo arabo. Quella del nazionalismo arabo è stata per alcuni cristiani orientali forse l’ultima carta da giocarsi per tentare di uscire dall’atavico stato di dhimmitudine (sottomissione giuridica e sociale) in cui l’Islam li ha relegati per secoli.

Improntato al laicismo e alla separazione fra religione e politica, il baathismo ha avuto nel tempo diversi esponenti cristiani di spicco, tanto in Siria che in Iraq. Ma oggi, ci conferma il nostro Autore, anche in Siria le cose iniziano a cambiare, e pure qui dove il partito Baath è al potere, perché è il partito di riferimento degli Ass ad, comincia ad insinuarsi il sunnismo fondamentalista, ostile alla presenza cristiana.

In definitiva, “… pagando lo scotto di un certo vassallaggio nei confronti del regime, la Chiesa di Siria non può lamentarsi, anche se il flusso di emigrazione dei suoi figli rimane costante.” (pag. 136).

La capitale della Siria, Damasco, conserva le vestigia di quello che sino al Medio Evo fu una città cristiana. Bab Sharqi è il quartiere cristiano di Damasco: in questi luoghi, dopo la famosa caduta da cavallo lungo la strada che da Gerusalemme conduceva in città, si concretizzò la conversione di San Paolo al cristianesimo. A Bab Sharqi ci sono le sedi dei patriarcati e dei vescovadi delle varie denominazioni cristiane: siriaci (sia ortodossi che cattolici), armeni, caldei, latini…

Qui i cristiani sono particolarmente fieri della loro identità: “Molti di loro portano delle croci d’oro bene in vista sul petto, ma non per questo vanno a messa la domenica. Però tutti si sentono cristiani, non fosse altro che in opposizione ai musulmani” (pag. 86).

Il viaggio per la Siria continua nella cittadina di Seidnaya (cristiana al 75% e con 52 chiese), con i suoi monasteri dedicati alla Vergine, venerata anche dai musulmani, che qui vengono pellegrini per implorare grazie e guarigioni.

Il villaggio di Maaloula, costruito sul fianco di una montagna a 1700 metri di altezza, è uno dei pochi luoghi al mondo dove la gente – circa 4 mila cristiani a fronte di 1000 islamici – ancora parla l’aramaico, la lingua di Gesù (quella usata da Mel Gibson per il suo film “The Passion”). L’uso della lingua aramaica fu severamente proibita dai califfi musulmani dopo l’invasione araba del VII secolo: ma è sopravvissuta.

Nel nord della Siria, avvicinandosi verso la Turchia, si trova la valle dei Nasara. Questo è termine peggiorativo che significa “partigiani del Nazareno”, ed è il termine utilizzato dal Corano per designare i cristiani. E’ in questa zona che i crociati edificarono il Krak dei Cavalieri, l’imprendibile fortezza difesa dagli Ospedalieri di San Giovanni.

La città di Aleppo è l’ultima tappa in Siria prima di passare in Turchia. All’inizio del XX secolo accolse gli scampati del genocidio armeno, che qui ricostruirono delle loro comunità. Oggi Aleppo accoglie altri cristiani in fuga (almeno 15.000): quelli che scappano dall’Iraq, dove vengono regolarmente sequestrati ed uccisi. Restano in Siria o in Libano, in attesa di ritornare in patria o, meglio ancora, di un visto per gli Stati Uniti o l’Europa. Prima di passare il confine con la Turchia, nell’estremo nord della Siria, Frederic Pichon visita l’antica regione siriana degli eremiti. Tra gli eremiti orientali, che hanno scritto una pagina importante della storia del cristianesimo, c’erano i “brucanti”, così chiamati perché vivevano sul fondo di una fossa scavata nella roccia, nutrendosi dell’erba che cresceva negli anfratti; i “dendriti”, che abitavano negli alberi cavi; gli “stiliti”, che passavano le giornate su una colonna raccolti in preghiera…

Terzo paese nel viaggio di riavvicinamento all’Europa è la Turchia.

La prima tappa è Antiochia, dove i cristiani vennero identificati con questo nome e dove, probabilmente, fu messo per esteso il vangelo di San Matteo. Una comunità fiorente, quella dei primi cristiani di Antiochia. E adesso? Di quelli rimasti “… Una grossa parte di loro è già emigrata in Europa o in Brasile. Il gregge degli ultimi cristiani di Antiochia sta a poco a poco scomparendo.” (pag. 160).

In effetti il sud-est dell’Anatolia era un tempo abitato da fiorenti comunità cristiane, appartenenti soprattutto alla chiesa siriaco-ortodossa. Oggi, dopo decenni di persecuzioni kurde e turche, tanto musulmane che laiciste (legate queste ultime al padre della Turchia moderna, Kemal Ataturk), tutte comunque unite dal medesimo odio anti-cristiano, non rimangono che poche migliaia di fedeli (ma nel 1900 i cristiani costituivano il 25% della popolazione turca).

Anche i greco-ortodossi hanno duramente pagato il proprio tributo di dolore e di sangue alla normalizzazione musulmana voluta da Ataturk. Tanto nella parte centrale del paese – la Cappadocia – che in quella occidentale – Istanbul e Smirne –, l’elemento greco-ortodosso è praticamente scomparso, lasciando solo chiese in rovina e vestigia di antiche città sotterranee, come quelle della Cappadocia, oggi visitate da frotte di turisti occidentali. In tali città sotterranee le popolazioni bizantine, notoriamente pacifiche, si rifugiavano per sfuggire alle periodiche incursioni arabe, puntuali ad ogni primavera.

In conclusione della sua opera, Frederic Pichon offre al lettore un testo del principe saudita Talal Ben Abdel Aziz al-Saud, il quale riconosce che“…Bisogna incoraggiare gli arabi cristiani a restare nella loro terra, cosa che permetterebbe di fermare l’emorragia di tutte le energie creatrici del mondo arabo in ambito scientifico, culturale, filosofico così come in quello commerciale, finanziario e industriale.” (pag. 208).< >< ><–>

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