UNA “RAGIONEVOLE” STRAGE (Il Corriere del Giorno, 2 ottobre 2008, pag. 5)

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La ricerca delle proprie origini, la legittima curiosità di indagare fra i parenti più lontani per ricostruire storie familiari obnubilate dal peso degli anni, spingono una donna francese dell’Alsazia ad imbattersi in una vicenda che oggettivamente merita di essere raccontata al grande pubblico. E Mireille Horsinga-Renno, nata a Strasburgo nel 1947, lo ha fatto pubblicando nel 2006 il libro “Cher Oncle Georg” (Caro Zio Giorgio), volume che nel 2006 è uscito nella traduzione italiana per i tipi della casa editrice Lindau con il titolo “Una ragionevole strage” (Lindau, 2006, Torino, pagg. 204, euro 15,00).

Un giorn

o di luglio del 1981 Mireille Horsinga-Renno fa visita ad un lontano parente tedesco di cui ha appreso l’esistenza solo da poco, che trascorre una serena vecchiaia nella verdeggiante Renania. Si instaura un rapporto affettuoso che dura fino a quando, qualche anno più tardi, nel corso di una normale conversazione, il vecchio parente afferma che le camere a gas naziste non sono mai esistite. Si fa dunque portavoce di quella tesi negazionista sostenuta non solo da qualche storico isolato, ma anche dall’attuale leadership politica iraniana. Inutilmente la donna tenta di contraddirlo. Un giorno, per puro caso, Mireille leggendo un’opera sul nazismo ritrova il nome dello zio Georg: il Dottor Georg Renno, medico responsabile, presso il castello austriaco di Hartheim, del programma nazista di sterminio delle persone lungodegenti e portatrici di handicap. Come esito di quel programma moriranno quasi ventimila “malati incurabili”, la cui vita era ritenuta inutile ed improduttiva.

Per Mireille Horsinga-Renno questa scoperta diventa il punto di partenza per un’indagine a tutto campo, nei sinistri meandri di un passato sconosciuto, nel quale la memoria familiare si sovrappone alla grande storia. Come credere che quell’uomo anziano, colto e premuroso, – che per una serie di vicende riuscì a passare indenne dalle maglie della giustizia – fosse tra i diretti responsabili della selezione e dello sterminio di migliaia di innocenti? Di fatto il Dott. Georg Renno morirà impunito nel 1997.

Attrezzato con camere a gas e forno crematorio, il castello della morte di Hartheim diventerà un distaccamento del campo di Mauthausen e procederà con i ritmi di una catena di montaggio. In base ad una circolare del Reich i potenziali ospiti del castello erano: i pazienti che soffrivano di schizofrenia, di epilessia, di senilità, di paralisi cronica, di malattie veneree, di debolezza mentale, di encefalite e disturbi neurologici vari, i lungodegenti (da oltre cinque anni), i malati di mente ricoverati nei manicomi criminali, gli appartenenti alle minoranze razziali. Provenienti da accurate selezioni svolte negli ospedali e nelle case di cura, “pazienti” di ogni età e condizione venivano scaricati da vagoni ferroviari sigillati; dopo essere stati spogliati delle poche cose che ancora avevano con sé, completamente nudi erano sottoposti ad una visita medica frettolosa, finalizzata ad individuare i soggetti con denti d’oro, o che comunque potevano risultare interessanti per futuri esperimenti post-mortem. Finalmente (!) tutti a fare le docce, mentre i medici preposti dosavano l’apertura dei rubinetti del monossido di carbonio: “All’inizio manca l’aria. Alcuni cominciano a battere la pesante porta con una pioggia di inutili colpi. Altri, seduti sulle panche, si addormentano e si accasciano in avanti con la bocca spalancata, come pesci usciti dall’acqua…Ma la stanza di 25 metri quadrati è talmente affollata da individui stretti uno sull’altro che non possono cadere a terra. I condannati si aggrappano ai loro compagni di sventura, si stringono in un compassionevole abbraccio di morte condivisa. Alcuni hanno le gambe sporche di escrementi, di urina, di vomito o di sangue mestruale. ” (pag. 63).

Quando tutti sono morti, un infermiere o un tecnico apre la porta per mettere in moto il sistema di ventilazione, che può durare fino a due ore. Quindi i cadaveri vengono trascinati nell’obitorio, dove gli addetti alla cremazione girano e rigirano i corpi alla ricerca dei segni posti su chi ha denti d’oro o su chi è destinato alla “dissezione”. Tutti gli altri finiscono subito nel forno crematorio. I fumi fuoriescono dal comignolo del castello, ben visibili agli abitanti del ridente paesino austriaco. Intanto nella camera a gas, oramai sgombera dai cadaveri, le donne delle pulizie lavano il pavimento e i muri: il locale è pronto per un nuovo carico umano…

Il dottor Georg Renno, lontano pro-zio dell’Horsinga-Renno, come molti suoi colleghi, per varie ragioni condivise e collaborò all’ attuazione del programma eugenetico del nazismo. Nota l’Autrice che le ragioni culturali di tale programma vanno individuate nel darwinismo sociale, “…che predica l’eliminazione dei più deboli. In effetti, secondo Darwin, occorre distinguere tra razze superiori e razze inferiori…L’amico Herbert Spencer è andato oltre, elaborando, con il concetto di sopravvivenza del più forte, le basi del darwinismo sociale. Francis Galton, cugino di Darwin, da parte sua inventò l’eugenetica scientifica. Preparò una scala del valore delle razze predicando la sua applicazione al genere umano.” (pag. 189).

Nella Germania hitleriana la battaglia per l’eutanasia e per l’eugenetica passò dai presupposti filosofici e pseudo-scientifici al piano mediatico: “Venivano organizzate conferenze, nel corso delle quali veniva posta l’insidiosa domanda: ha senso lasciare in vita persone affette da malattie mentali, persone improduttive e il cui mantenimento è spesso molto costoso?” (pag. 189). Ma non mancavano, nella propaganda, argomentazioni “buoniste”, tese cioè a convincere che con la “dolce morte” potessero essere evitate ulteriori ed eccessive sofferenze ad handicappati e/o malati terminali. Come non notare pericolose analogie con il battage a favore della legalizzazione dell’eutanasia dei nostri giorni?

Il libro di Mireille Horsinga-Renno è appassionante, coraggioso e sensibile (oltre che di veloce lettura): costituisce una straordinaria vittoria sul silenzio e sull’oblio. Se però un appunto gli si può fare, è quello di non cogliere (o forse di non voler cogliere) certe analogie dell’eugenetica nazista con quella parte della cultura “progressista” che oggi tragicamente invoca la “dolce morte” – con modalità forse meno cruenti, ma comunque somministrata per decreto di Stato -. A loro modo, anche le parole rilasciate dal Dott. Georg Renno al tramonto della sua esistenza terrena hanno un sapore “buonista”, che oggi piacerebbero a molti sostenitori dell’eutanasia: “Per quanto mi riguarda, ho la coscienza pulita; non mi sento colpevole. Non è come se avessi ucciso qualcuno con un colpo di pistola o con qualcosa del genere. Non si è trattato di tortura; per quei malati è stato piuttosto, per così dire, una “liberazione”…”

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