UNITA’ SI’, RISORGIMENTO NO! (di Alessandro Pagano)

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Francesco II di Borbone, ultimo Re delle Due Sicilie

Chi di noi non ricorda, con quanta enfasi le nostre maestre elementari ci hanno raccontato la storia dell’Unità d’Italia attraverso le gesta di Garibaldi, Mazzini, Cavour.

Quanta “passione”, quanto amore per la “libertà” da parte di questi patrioti che, nella vulgata comune, hanno liberato gli italiani dallo straniero invasore, dai Papi e dai tiranni.

Ma negli ultimi anni questa retorica pian pian si è sgretolata!

Gli italiani, documento dopo documento, mezze verità dopo mezze verità, sono venuti a sapere che noi eravamo italiani molto prima del 1861 e che Dante, San Francesco, Manzoni (tanto per fare qualche esempio) si sentivano italiani perchè si riconoscevano nell’eredità filosofica ellenica e nel diritto romanistico, entrambi amalgamati nel cristianesimo.

Per secoli, i popoli che abitavano la penisola avevano la consapevolezza di appartenere a una stessa “comunità di destino”, viva e diffusa forse più di quanto non lo sia stata dopo il 1861. Prova ne sia, la risposta comune che nei secoli è stata data alle varie aggressioni esterne (prima saracene e poi ottomana); senza contare i numerosi elementi unificanti quali: la lingua, la letteratura, le arti figurative, l’esperienza politica, i forti legami tra le università, nonché i rapporti fra le varie Corti che si scambiavano cultura e artisti, gli stessi che hanno fatto grande la Penisola con le loro opere.

Il mito del Risorgimento sembrava logorato, ma l’occasione del 150° è servito a qualcuno per rispolverarlo.

Proprio nei giorni scorsi ci ha pensato, davanti a 18 milioni di telespettatori, il menestrello Benigni. Ma al di là del modo in cui è stato presentato dobbiamo riflettere perchè il Risorgimento non è entrato a far parte della memoria collettiva degli italiani. Se da un lato l’Unità d’Italia era un evento necessario, viste le difficoltà di sopravvivenza dei piccoli stati, dall’altro il Risorgimento invece è stato un processo culturale teso a separare l’Italia dal suo ethos tradizionale cattolico, volto a “rifare gli italiani” secondo un progetto d’ingegneria sociale, caratterizzato dal relativismo delle idee e dalla negazione del patrimonio storico della nazione.

Sostenere questo non vuol dire avere “nostalgie” del passato, né attentare all’unità nazionale: il rispetto e la lealtà per la nazione (per i suoi simboli, per i doveri ai quali ci richiama) non si discutono. Tutti dobbiamo andare fieri per esempio dei nostri soldati che, in missione di pace nei paesi in guerra, mostrano di essere la parte migliore del nostro Paese, esportando i nostri Valori pur nel rispetto delle tradizioni dei paesi che li ospitano. E non a caso ogni volta che arrivano notizie tristi sulla morte dei nostri ragazzi, che siano di Enna o di Pordenone, tutti ci sentiamo uniti alle loro famiglie.

Semmai tradiremmo la Nazione rifiutando di conoscere la Verità su come si è formato lo Stato Italiano e quali siano state le conseguenze. Così come sorge necessario operare una riconciliazione nazionale fra quanti furono oggetto di persecuzione e massacri, rispetto a chi tali eccidi li fece con sistematicità e metodo.

Siamo a febbraio, abbiamo dieci mesi per parlarne sul serio…

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