VENTI ANNI FA PIAZZA TIENANMEN

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tienanmenOggi vogliamo ricordare un avvenimento che si consumava in Cina vent’anni fa, il 4 giugno 1989, quando i carri armati entravano in Piazza Tienanmen (che in cinese significa: “porta della pace celeste”) per stroncare la protesta studentesca che invocava riforme e democrazia per la Cina. I media sia pure fugacemente hanno ricordato la ricorrenza di quei tragici giorni di giugno, che si conclusero con l’attacco dell’Esercito popolare ai ragazzi scesi in strada per protestare e chiedere riforme.

Tutto ebbe inizio il 14 aprile del 1989, quando gli studenti in massa resero omaggio alla salma del leader riformista Hu Yaobang, sfilando per Pechino sino a ritrovarsi in Piazza Tienanmen. Ma ai giovani che chiedevano riforme e democrazia, i leader cinesi Deng Xiao Ping, Li Peng e YaoYilin risposero rifiutando ogni cambiamento istituzionale.

Tra il 18 e il 21 aprile agli studenti si aggiunsero numerosi lavoratori e la protesta si ingrossò sino a raggiungere il milione di dimostranti, protesta che si protrasse per sei settimane dando vita alla cosiddetta “Primavera di Pechino”, che è rimasta la più grande manifestazione di protesta nella storia della Cina comunista.

Alla fine del mese di maggio le cose precipitarono e il regime intimò di sospendere ogni manifestazione, imponendo il 20 maggio la legge marziale. Qualcuno forse ricorderà che dinanzi a quei tanks che cercavano di riportare l’ordine, un piccolo uomo con la camicia bianca si frappose al potere, al potere enorme del partito comunista cinese: mentre la colonna blindata scendeva lungo il viale della Pace eterna, un giovane da solo si mette in mezzo alla strada, bloccando il carro armato che è in testa. L’autista cerca di scansarlo, ma lui gli si para nuovamente dinanzi, allargando le braccia; poi fa un salto e sale sul carro armato per parlare con il soldato, che è appena visibile dalla feritoia. Grida al soldato: “Tornate indietro; smettetela di uccidere il nostro popolo!” Poi il ragazzo scende veloce dal carro e si confonde tra gli altri studenti che gridano e protestano. Non si saprà più nulla di lui, mente subito dopo scatta, feroce, in tutta Pechino, la violenza, il fuoco dei soldati, gli arresti. Seguiranno la prigione e la tortura, che spesso si consuma proprio nelle sedi locali del partito comunista. Così almeno afferma Federico Rampini, sinologo fra i più illustri e accreditati in Italia, che non solo è il corrispondente dalla Cina per il quotidiano”Repubblica”, ma ha anche scritto importanti libri su questo grande paese.

Mentre il governo di Pechino si ostinava a ripetere che nessuno era stato ammazzato a Piazza Tienanmen, le stime raccolte da Amnesty International riferivano di un bilancio comprendente fra i 700 e i 3.000 morti, la maggior parte dei quali giovani. Di quel piccolo uomo di Piazza Tienanmen  non si è mai saputo più nulla: probabilmente fu arrestato e ucciso, nel corso della normalizzazione poliziesca. Qualcun altro afferma che sia ancora vivo. Fatto sta che, come dice Federico Rampini sul suo articolo di spalla pubblicato su Repubblica di giovedì 4 giugno 2009, quell’ex contestatore è diventato comunque la figura simbolo della resistenza di venti anni fa. Di quel giorno a Piazza Tienanmen resta scolpita nella memoria collettiva la foto scattata da Jeff Widener, il fotografo dell’Associated Press che immortalò dalla finestra di un albergo vicino l’omino solo davanti al carro armato. Anche un altro paio di fotografi stranieri immortalarono l’episodio-simbolo.

La cosa straordinaria è che a venti anni di distanza tutto questo non interessa più di tanto. Lo si vorrebbe rimuovere psicologicamente e storicamente. Anche se i diritti umani in Cina stanno sempre ad aspettare e se, come raccontano gli ex detenuti, il sistema dei campi di lavoro e di rieducazione (il “laogai”) imp erv ersa coinvolgendo milioni di uomini e donne. Probabilmente in tutto ciò l’Occidente si adegua alla censura imposta da Pechino, che ha rimosso ogni traccia della strage compiuta 20 anni fa. Oggi chiunque in Cina tenti di digitare su internet la parola “Tienanmen” troverà solo spiegazioni storico-artistiche sulla piazza, che è prospiciente l’entrata della Città segreta. Nessun cenno ai giorni della rivolta e della repressione. Né tanto meno ne parlano i giornali cinesi. Oggi l’ordine regna a Pechino: pattuglie di soldati e poliziotti sorvegliano gli accessi a Piazza Tienanmen, nella paura del ripetersi di episodi finalizzati anche alla semplice commemorazione. Alle troupe televisive straniere è proibito riprendere gli spazi che furono teatro delle manifestazioni e degli eccidi. Il Club della stampa estera di Pechino ha segnalato diversi casi di intimidazione a giornalisti stranieri, ai cameramen e alle persone intervistate.

Una dura protesta – però – così leggiamo su “Repubblica” è venuta da Washington. “La più forte presa di posizione dall’avvento dell’amministrazione Obama è stata affidata a Hillary Clinton”. Il Segretario di Stato ha infatti dichiarato: “Una Cina che ha fatto enormi progressi economici ed aspira ad una leadership globale deve affrontare apertamente gli eventi più bui del suo passato, deve dire la verità sui morti, i detenuti, gli scomparsi, per imparare la lezione e sanare le ferite”. Non solo: la Clinton ha chiesto al governo di rilasciare tutti coloro che ancora scontano le pene per quei fatti: ci sarebbero almeno 30 detenuti politici che da allora non hanno più visto la libertà. Un’altra grande testimonianza di solidarietà è giunta dal Cardinale Zen di Hong Kong, che ha dichiarato: “Venti anni dopo, il regime rimane dispotico e corrotto. Ancora deve rispondere dell’orrendo crimine commesso. Quel massacro non era inevitabile e non ha portato nulla di buono. Il sistema politico è oppressivo, la corruzione dilaga, l’informazione è censurata, la ricchezza ha beneficiato solo una minoranza …”.

Wuer Kaixi, uno dei leader studen­teschi , dal canto suo ha ricordato sui giorna­li che “… I carri armati non fanno più rumore. Sono passati, so­no lontani. La Tienanmen è silenzio­sa. Il caos insanguinato di vent’anni fa non si sente più. Sparito dall’oriz­zonte della Cina: le nuove generazio­ni non sanno o quasi, solo pochissi­mi coltivano apertamente la memo­ria ed è più facile farlo all’estero. «Di allora mi addolora la sorte delle vittime. Noi capi siamo sopravvissu­ti, loro no. Ma la colpa è solo del re­gime».

Ecco: la colpa è solo del regime. Secondo chi scrive, alle origini del dissesto umano, antropologico ed ambientale della Cina vi è la continuità con i principi di questo regime marxista, nella sua versione maoista. Non a caso i ritratti del “Grande Timoniere” continuano a campeggiare in Piazza Tienanmen. Ancora nel 2007, nell’anniversario della strage, una molotov fu lanciata contro l’effige del Grande Timoniere. Ovviamente il responsabile del gesto fu prontamente arrestato.17cinapechinopiazzatienanmen

Ma è dall’avvento del comunismo che la Piazza è sormontata da un gigantesco ritratto di Mao. La scritta a sinistra recita: “Lunga vita alla Repubblica Popolare Cinese”, e quella di destra: “Lunga vita all’unità dei popoli del mondo”.

Così lo Stato – anche nel suo maquillage liberista e neo-capitalista – in Cina continua ad essere guidato dal Partito Comunista, che nei suoi periodici congressi detta le regole del gioco per gli anni venturi. Quindi dispiace che il sacrificio delle centinaia di ragazzi uccisi a Piazza Tienanmen dopo venti anni non trovi ancora dei frutti di libertà e di democrazia. I superstiti di quei giorni sono però concordi nel riconoscere che il comunismo resta un fossile ideologico odiato dalla popolazione, e che come tale un giorno, prima o poi, imploderà, come già in Russia e nei paesi dell’Est europeo.

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