VORREI ANDARE A MESSA (di Marco Invernizzi)

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Il ministro della Cultura e del turismo, Dario Franceschini, ha detto che la riapertura delle librerie «non è un gesto simbolico, ma il riconoscimento che anche il libro è un bene essenziale». Concordo certamente, la quarantena senza i libri sarebbe impossibile. Ma non posso non porre una domanda: e la partecipazione alla Messa per chi ha il dono della fede? Se è essenziale mangiare (e i supermercati giustamente non sono stati chiusi), se è essenziale curarsi (anche le farmacie sono regolarmente aperte), se è molto meno essenziale andare in edicola (che pure sono aperte), dato che le informazioni si possono ricevere da radio e tv o dai social, perché è sempre esclusa da ogni ipotesi di riapertura la partecipazione alla Messa, pure nel rigoroso rispetto delle prescrizioni previste per garantire la sicurezza dei partecipanti (alle messe feriali non ci sarebbe neppure bisogno di alcuna organizzazione speciale, visto il numero dei partecipanti)?

La gravità dell’emergenza dovuta al diffondersi del CoViD-19 non è da sottovalutare. Vivo in Lombardia, dove i dati sul virusrimangono drammatici. Ho perso amici e conosco bene la situazione degli ospedali milanesi, bergamaschi e bresciani, anche grazie all’amicizia di medici e di operatori che lavorano all’interno di queste realtà. E tuttavia è proprio anche grazie al contatto con queste persone e con le realtà in cui esse lavorano che la domanda diventa impellente: perché non si accenna neppure a come e quando tornare a partecipare a Messe, matrimoni e funerali?

L’Italia, come l’Occidente, è un Paese dove la secolarizzazione ha segnato un’epoca e ha profondamente inciso sulla vita comunitaria. La religione è stata sostanzialmente eliminata dal dibattito pubblico e l’epidemia interpella medici, politici, economisti, quasi mai religiosi, neppure quando si viene a contatto con una realtà, la morte, alla quale soltanto la fede è in grado di dare una risposta. Eppure i cattolici, che certamente sono una minoranza, vengono ricercati e adulati quando c’è bisogno del loro consenso, minoritario, ma reale e non insignificante. Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ringrazia la Conferenza Episcopale Italiana che ha accettato le prescrizioni governative senza praticamente trattare condizioni che avrebbero potuto essere più rispondenti ai bisogni dei fedeli.

Perché la domanda in fondo è questa: se il governo risponde al bisogno di chi vuole leggere (o mangiare o curarsi) perché non dovrebbe rispondere al bisogno di chi vuole partecipare a una Messa? E perché chi tratta con il governo a nome della Chiesa italiana non fa emergere questa domanda anche pubblicamente?

La domanda infatti esiste. Me la sento ripetere via radio, via telefono e dalle poche persone che incontro. Sono tutti estremamente rispettosi delle regole introdotte in seguito all’epidemia, ma anche sconcertati di fronte al silenzio sul futuro della partecipazione alle liturgie. Un silenzio osservato soprattutto da chi, all’interno del mondo cattolico, dovrebbe porre il problema: quando e come si potrà tornare alla normalità?

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