AIDS: DISASTRO SUDAFRICA

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Il recentissimo libro pubblicato dalle Edizioni D’Ettoris riporta il disastro sudafricano in tema di AIDS. E Mandela sapeva….

Secondo le ultime stime di UNAIDS- il Programma delle Nazioni Unite contro l’Hiv/Aids – vivono nel Paese di Mandela 6,1 milioni di persone affette da HIV/AIDS, su una popolazione di poco più di 51 milioni di abitanti. Ogni giorno in Sudafrica muoiono a causa dell’AIDS circa 1000 persone, per un totale di 350.000 vittime l’anno.

L’aspettativa di vita, ormai, si è attestata a 51 anni, un’età alla quale, a parità di condizioni, nei Paesi occidentali ci si considera ancora giovani e, più o meno, con trenta anni di vita ancora davanti.

Considerando solo i dati relativi al primo decennio del 2000, si calcola che il numero di morti causato dall’AIDS in Sudafrica sia cresciuto da 100.000 persone nel 1999 ad oltre 350.000 nel 2009. Il figlio di Mandela, Makghato Mandela (1950-2005), è deceduto perché affetto dal terribile morbo. Lo stesso dicasi per un figlio dell’attuale Presidente Zuma, anch’egli morto di AIDS.

Il Sudafrica ha tentato di far fronte all’ecatombe dell’Aids innanzitutto con la politica del preservativo. Nell’arco degli ultimi 20 anni l’uso massivo dei contraccettivi è stato presentato come l’unica soluzione, eppure l’Aids continua a imperversare, affliggendo sempre più persone. Secondo Monsignor Barry Wood, vescovo ausiliario di Durban, è tempo di dichiarare il completo fallimento della “politica del preservativo”:«La pandemia è in aumento. Milioni di preservativi sono stati distribuiti tra la gente (42 milioni in occasione dei mondiali di calcio del 2010, n.d.r.) eppure l’Aids non solo è ancora presente ma è in crescita. Il Ministro della salute dice che i numeri sono in diminuzione, ma la gente afferma il contrario, e i nostri sacerdoti incaricati di seppellirne i morti, settimana dopo settimana, dicono che la situazione sta peggiorando. L’elemento fallimentare nella politica del preservativo è l’educazione. Alla gente sono stati distribuiti i preservativi e gli è stato detto che esiste un problema e che se avessero usato il preservativo, il problema sarebbe sparito. Ma non è sparito. La Chiesa sta proponendo l’astinenza come una possibile alternativa da anni». 

In effetti, come è stato documentato, la strategia basata sulla contraccezione, oltre che moralmente discutibile, è anche poco “efficiente”. Infatti, la strategia “etica”, basata sull’astinenza e sulla fedeltà, è quella vincente: «Esiste l’evidenza empirica che le persone assumono rischi maggiori quando sentono di essere protette da un mezzo artificiale. Molti ricercatori si sono resi conto che questo meccanismo si applica anche alle popolazioni che utilizzano contraccettivi per evitare di contrarre l’AIDS: chi usa il contraccettivo, sentendosi protetto, tende a moltiplicare i comportamenti rischiosi e, alla fine compensa o iper-compensa la protezione che il contraccettivo poteva procurare. Il fenomeno è conosciuto negli ambienti della sanità pubblica come “compensazione del rischio” o “disinibizione”. In molti paesi dell’Africa subsahariana, i tassi di trasmissione di HIV rimangono alti e sono persino cresciuti, nonostante un aumento considerevole nell’uso del preservativo. È un fatto poi che i Paesi africani con la disponibilità più alta di preservativi, come Botswana e Sudafrica, hanno anche i tassi più alti di AIDS al mondo».

Ma c’è stato anche un secondo elemento scatenate la pandemia: l’ostracismo ideologico, da parte dei dirigenti del governo dell’ANC, verso la più recente tecnica medica proveniente all’Occidente.

Come noto, a partire dalla fine degli anni ’90, l’introduzione dei farmaci antiretrovirali nei programmi di cura contro l’AIDS ha determinato nei Paesi occidentali un calo radicale della mortalità.

All’inizio del 2000, quando era ormai disponibile da qualche anno il cocktail farmacologico in grado di fermare l’evoluzione della malattia, con il conseguente possibile rallentamento della sua trasmissibilità, il nuovo Presidente del Sudafrica (1999-2008), Thabo Mbeki, dello stesso gruppo etnico di Mandela, Xhosa, di origine Bantu, assume una posizione addirittura “negazionista” sulla malattia, neutralizzando quindi qualsiasi possibilità della sua prevenzione. Il neo-leader del Paese, infatti, accusando la CIA di cospirare con le case farmaceutiche per propagare l’idea che l’HIV sia la causa dell’AIDS, e spingere così la gente a comprare i farmaci antiretrovirali, generalizza una posizione di sospetto – già esistente nell’African National Congress – verso le autorità internazionali , «[…] accusate di voler arrestare la “rinascita” dello Stato, ambizioso obiettivo ribadito da Mbeki fin dalla sua elezione a Presidente».

Le posizioni del governo dell’ANC provocano ben presto rilevanti proteste non solo da parte dei malati, ma anche di numerose organizzazioni umanitarie, sindacati, scienziati, operatori sanitari ed attivisti che si riuniscono in un grande movimento sociale per porre fine all’abuso di potere che impedisce l’accesso alle cure dell’AIDS al popolo sudafricano. Nascono quindi diverse associazioni di malati tra cui la Treatment Action Campaign (TAC), guidata da Zackie Ackmat, che riunisce attivisti di ogni ceto sociale per rivendicare il diritto alle cure. Solo molto tardivamente, quando milioni di persone sono ormai morte o infettate, l’ANC se ne rende conto…

 

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