ALLE ORIGINI DELLA RIVOLUZIONE KHOMEINISTA NELL’IRAN DI OGGI (Corriere del Giorno, 26 giugno 2009, pag. 30)

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978-88-6250-067-8Gli avvenimenti iraniani legati alle elezioni presidenziali e ai presunti brogli, con lo strascico di manifestazioni popolari e di repressioni, rendono di straordinario interesse un recente volume pubblicato dalla casa editrice Guerini & Associati di Milano. Ne è autore un prestigioso conoscitore di cose islamiche: il Prof. Renzo Guolo, fra i più apprezzati sociologi delle religioni esistenti in Italia. Renzo Guolo insegna Sociologia dell’Islam alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino ed è autore di svariate opere sul mondo musulmano.

In questo suo ultimo libro (Generazione del fronte, 2008, pagg. 153, euro 16,50) Renzo Guolo aiuta il lettore ad entrare nei complessi meccanismi religioso-istituzionali dell’Iran.

Punto di partenza è ovviamente la rivoluzione del 1979, vero spartiacque non solo della politica iraniana ma anche di quella mediorientale.

Un primo dato da tenere in considerazione è che la Rivoluzione khomeinista non rappresenta un caso di rivincita della tradizione, bensì un caso di assoluta innovazione religiosa. Per capirlo bisogna andare alle origini della fede sciita. Come noto i musulmani si dividono in due grandi famiglie: sunniti e sciiti. Questi ultimi sono presenti come minoranze in molti paesi arabi, tranne che in Iran e Iraq dove costituiscono la maggioranza della popolazione. Ciò che distingue i due gruppi è che gli Sciiti riconoscono come legittimi successori di Maometto i suoi discendenti di sangue (Imam). Questa linea di successione si interrompe nell’874, quando il Dodicesimo Imam, un tal Muhamad al Mahdi, scompare misteriosamente. Per gli Sciiti si tratta di una vera e propria catastrofe religiosa, perché, al contrario dei Sunniti, nessuno che non sia della linea di sangue di Maometto è legittimato a guidare la comunità islamica. L’imam per gli Sciiti è infatti l’unico rappresentante di Dio in terra, che esercita la funzione di suprema guida politica e religiosa della comunità. Ricevendo la sua autorità dall’alto, l’imam lega il mondo visibile a quello invisibile. All’indomani della scomparsa del Dodicesimo Imam gli Sciiti hanno iniziato a raccontare che in realtà il Mahdi  è solo nascosto: tuttora ne attendono la rivelazione, come una specie di messia islamico che deve manifestarsi nel tempo. Se il Dodicesimo Imam è occultato, ma comunque presente, è evidente che per gli Sciiti qualsiasi altro potere è illegittimo, in quanto usurpa la sola autentica autorità che per diritto divino può governare. L’illegittimità  del potere mondano, fosse quello dei califfi sunniti o della monarchia persiana, non induceva comunque il mondo sciita alla rivolta.

Da Khomeini in poi le cose sono radicalmente cambiate. Prima di Khomeini, infatti, la teologia sciita imponeva – in assenza del vero Imam – l’obbedienza al potere costituito.

Con l’avvento di Khomeini, invece, vince una nuova corrente teologica interna al mondo sciita, che si basa sugli scritti del sociologo e filosofo Alì Shariati. Che cosa diceva questo filosofo laico? Negli anni ’60 – ci ricorda il Prof. Guolo – Shariati è un severo critico del clero iraniano, che viene accusato di essere “quietista” rispetto al potere costituito. In particolare Shariati auspica che il clero sciita diventi politicamente attivo, movimentista, occupandosi dei poveri e degli oppressi che vanno riscattati per mezzo della lotta politica. In ciò Shariati usa la metodologia di analisi sociale propria del marxismo: non a caso siamo negli anni ’60 e la sociologia marxista fa sentire i suoi effetti anche all’interno del mondo islamico. Per Shariati l’attesa dell’imam nascosto non implica affatto una accettazione passiva della politica altrui, specie se ingiusta. Tale per esempio veniva considerata la sottomissione allo Scià e alla famiglia reale dei Pahlavi. Khomeini alla fine degli anni ’70 riprende questi temi e dice che il clero sciita deve diventare protagonista dell’instaurazione di uno Stato completamente islamizzato in tutti i suoi aspetti. E’ questo in particolare il compito del basso clero sciita (mullah), un clero che Khomeini vuole combattente e movimentista in contrapposizione al clero di corte, accusato negli anni ’70 di subalternità e di collaborazionismo con il regime filo-occidentale di Reza Palhavi.

Come già il fondamentalismo di matrice sunnita – tipo quello praticato da Osama Bin Laden – dunque anche il fondamentalismo sciita contesta i religiosi moderati, ritenuti traditori in quanto collusi con la modernità e con i regimi arabi filo-occidentali. Durante l’assenza del Dodicesimo Imam per Khomeini il potere deve essere assunto da una Guida Suprema o Rahbar. Khomeini si attribuisce questo titolo e in previsione della sua morte designa quale successore l’attuale Guida Suprema, Alì Khamenei.

Con Khamenei quale Guida Suprema venne privilegiato il clero militante, meno istruito e di più bassa estrazione sociale; mentre furono emarginate le elites sciite tradizionali, più malleabili e inclini a sostenere i regimi arabi in dialogo con la modernità e l’Occidente. Si spiega così che la maggioranza degli Sciiti iracheni, che non hanno subito gli influssi del khomeinismo, in Iraq non solo hanno collaborato con gli Americani ma fin da subito si sono dimostrati i migliori alleati della coalizione occidentale: loro capo è il grande Ayatollah Alì Sistani. Esiste dunque ancora oggi – così afferma il professore Renzo Guolo – una parte del clero sciita che si richiama alla tradizione moderata e quietista (più in Iraq che in Iran).

Khamenei è l’ayatollah che in questi giorni di disordini a Teheran ha ordinato alle opposizioni di accettare il verdetto elettorale favorevole al presidente Ahmadinejad: il Presidente è uomo sì vicino a Khamenei, appartenente alla medesima corrente radicale, ma esponente di quella “generazione del fronte” (i reduci della guerra Iran-Iraq) ancora più arrabbiata, composta da Pasdaran e Basij, coloro che da sempre terrorizzano manifestanti ed oppositori. Con la scelta nucleare e guerrafondaia essi non escludono il capovolgimento dell’ordine internazionale esistente, nella prospettiva di un fantomatico ritorno visibile dell’ultimo Imam. In ciò si oppongono anche all’ex Presidente Rafsanjani, fautore di un pragmatismo alla “cinese”: conservazione dell’ideologi a khomeinist a ma legata a maggiori aperture, soprattutto in campo economico.

In conclusione, sulla scorta della lezione del Prof. Renzo Guolo, possiamo affermare che l’analisi sociologica marxista degli anni ’60-’70 ha indirettamente influenzato la rivoluzione khomeinista e i suoi più recenti sviluppi, facendo della militanza politica antioccidentale il cuore dell’esperienza religiosa.

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