ASSOLUTAMENTE, SICURAMENTE, PROBABLY… (di Guido Verna) 07 gennaio 2009

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article_bus1. Se si ascolta un po’ la radio o la televisione o anche qualche discorso al bar o in ufficio, ci si accorge che da qualche tempo i due avverbi più utilizzati, a volte fino al parossismo, sono sicuramente e assolutamente.

Ma se l’origine del loro uso smodato può derivare dalle interviste nel mondo dello sport — in particolare del calcio —, la sua tracimazione inesorabilmente invasiva nel linguaggio quasi di tutti e in tutti i campi mi pare segnalare qualcos’altro.

Posto, dunque, che oggi, rispondendo a una domanda, l’intervistato — o più generalmente l’interlocutore — quasi sempre comincia con: «sicuramente!» o «assolutamente sì!» (oppure «assolutamente no!», che è lo stesso), mi sono spesso chiesto i motivi da cui potessero scaturire questa secchezza e questo irrigidimento semantici, arrivando a qualche personale conclusione, che esplicito subito.

Tali motivi mi sembra possano trovarsi da un lato nell’impoverimento generalizzato del linguaggio — a fronte, peraltro, della necessità per molti, in alcuni casi professionale o anche contrattuale, in altri d’immagine, di parlare molto e coram populo —, dall’altro, più interessante, nell’impoverimento delle certezze all’interno dell’uomo di oggi. Più egli è incerto, più teme — inconsciamente — la non condivisione della risposta, dal momento che da questa disarmonia potrebbe derivare una seconda domanda e, ancor di più, perché per essa si potrebbe addirittura correre il rischio di una più ampia articolazione del discorso. Il sicuramente e l’assolutamente danno al «rispondente» da un lato l’illusione della esaustività e, quindi, la speranza della definitività della sua risposta, dall’altro l’impressione tonificante di una sua solidità concettuale; sono tesi, in definitiva, a liberarlo psicologicamente dal timore non solo del «domandante» ma anche di se stesso e del «fatto» o dell’«argomento» oggetto del dialogo.

2. L’uomo di oggi, però, è sempre più sorprendente. Dopo il profluvio di sicuramente e assolutamente, torna all’improvviso sul grande palcoscenico mediatico il probabilmente; e in modo prorompente, anche se con un vestito sofisticato ed elegante, color fumo di Londra.

Tu, lì per lì, pensi allora che sia cominciato un felice ricupero di equilibrio tra il dire e il pensare, da cui speri potrebbe trarre qualche vantaggio anche il fare e, quindi, il vivere comunitario. In realtà, succede però questo: il probabilmente — che finalmente avrebbe potuto rappresentare anche col linguaggio l’incertezza che si ha nel cuore — sembra venir utilizzato invece solo come un artificio verbale (1), «spiritoso» e tracotante insieme, per illuminare ancora di più la propria figura con la luce livida dell’antropocentrismo esasperato che va tanto di moda.

Arrivo alla notizia, colta freschissima da Internet (2): ieri, 6 gennaio 2009 (3), è stata lanciata The Atheist Bus Campaign, una campagna promossa dalla signora Ariane Sherine e subito appoggiata dal Prof. Richard Dawkins (4) e dalla British Humanist Association. Lo scopo: diffondere il messaggio seguente: «There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life» [Probabilmente Dio non esiste. Ora smetti di preoccuparti e goditi la vita]. Il mezzo: le fiancate degli autobus di Londra.

Non so se avrà successo, ma temo di sì, perché propone un modo di ragionare e di trarre conclusioni modernissimo e à la page, in quanto totalmente rovesciato rispetto non tanto al passato quanto piuttosto all’insopportabile senso comune e alla greve recta ratio, noiosa e fastidiosa anche se solo naturalmente intesa.

Dunque: da Dostojevski — se Dio non c’è, tutto è possibile — a gli umanisti inglesi — se non è certo che Dio ci sia, tutto è possibile, che è come dire (meglio): anche se Dio c’è, fregatene.

In termini morali, è il segnale esplicito — ma forse non ce n’era bisogno, essendo il fenomeno già chiaramente avvertibile da molto e da molti — di un ulteriore precipitare in basso.

L’ateo — ammesso che possa esistere — operando a cieli chiusi è in fondo conseguente, perché per lui Dio non c’è. L’umanista agnostico, invece, opera allo stesso modo ma si conserva gelosamente e golosamente la possibilità di apertura di qualche finestra in alto: perché, essendo il massimo esaltatore di se stesso, essendo dio a se stesso, avrebbe anche un certo piacere se ci fosse anche l’altro Dio, perché la Sua esistenza gli permetterebbe di esercitare al limite estremo, odiandoLo, le sue qualità migliori: l’orgoglio e la sensualità.

3. Gli autobus londinesi sono la risposta mobile e sprezzante non tanto al vecchio Pascal quanto piuttosto a Benedetto XVI: «Sempre più la formula “Etsi Deus non daretur” diventa un modo di vivere che trae origine da una specie di “superbia” della ragione realtà pur creata e amata da Dio la quale si ritiene sufficiente a se stessa e si chiude alla contemplazione e alla ricerca di una Verità che la supera. La luce della ragione, esaltata, ma in realtà impoverita, dall’Illuminismo, si sostituisce radicalmente alla luce della fede, alla luce di Dio» (Discorso all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, 8 marzo 2008).

4. Man mano che la «R» della sua ragione diventa sempre più maiuscola, la ragionevolezza dell’uomo tende al contrario a rimpicciolirsi altrettanto sempre di più, con rigorosa legge di proporzionalità inversa.

La tensione verso l’infinito per l’uomo naturale e pre-ideologico è stata sempre una tensione verso l’alto, mentre — come dimostra ancora una volta la notizia descritta — per l’uomo di oggi, ideologico e post-ideologico, si può tendere a esso — in matematica esiste il meno infinito — anche continuando a correre verso il basso.

Non avrei mai immaginato, però, che si potesse scendere sempre più giù anche comodamente seduti su un bus rosso. Invece si può. Mi si presenta una domanda: ma in fondo, in fondo, cosa c’è? Un «lago di fuoco» e stridor di denti? (5) Probably, per gli umanisti. Sicuramente e assolutamente si! per quelli come me, che sono solo vecchi umani e che credono ancora in Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra (6).

Guido Verna

 

Note

(1) Secondo un vecchio amico, tanto acuto quanto schivo, «il probably anglosassone potrebbe essere lenitivo e rientrare in una visione meno assertiva delle ideologie; spesso è anche una manifestazione di cortesia linguistica; risponde certamente a una visione più critico-empiristica». Io, però, cerco di coglierlo fuori da quel mondo, come lo coglieranno, presumo, gli «umanisti» italiani.

(2) Cfr. www.guardian.co.uk/ commentisfree/ 2008/ oct/ 21/ religion-advertising.

(3) In realtà, l’operazione era cominciata qualche mese fa. Dopo aver messo in giro queste brevi riflessioni, ho infatti trovato, muovendomi ancora in Internet, un’ANSA da Londra del 21 ottobre, titolata «Probabilmente Dio non c’è. Potete rilassarvi ora. E godetevi la vita», come recitava «[…] il messaggio che atei e umanisti del Regno Unito vogliono diffondere per le strade di Londra attraverso i cartelloni pubblicitari appesi alle fiancate dei bus. Il motivo? Contrastare i numerosi annunci diffusi da sette o congreghe religiose di vario genere. Un’iniziativa che sta avendo successo tra gli intellettuali della capitale e che ha avuto inizio grazie ad un blog del Guardian». Cfr. www.metaforum.it/ forum/ showthread.php?t= 6732.

(4) Ariane Sherine è «autrice televisiva e blogger per il quotidiano britannico», mentre il Prof. Richard Dawkins è l’«autore del best-seller “The God Delusion”» (Ibid.).

(5) Nella versione originale avevo scritto «Fiamme e stridor di denti». Ho apportato solo questa correzione, per rispetto filologico verso la signora Sherine: «Tutto cominciò […] quando Ariane Sherine […] propose l’idea il giugno scorso dalle colonne della sua rubrica online. «In origine», scrive oggi la Sherine, «volevo solo criticare le pubblicità religiose sui mezzi pubblici, una delle quali comprendeva un sito internet dove si condannavano i non-Cristiani a “sofferenze eterne in un lago di fuoco dell’inferno”» (Ibid.).

 (6) … e per il Quale soltanto l’ingresso nella corrente semantica dominante ha senso … anzi è obbligatorio.

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