IL PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI ACCOGLIE I PRETI ORTODOSSI IN FUGA DA MOSCA

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Il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli

Mosca (AsiaNews) – Con l’accoglienza nei giorni scorsi del sacerdote russo Aleksej Uminskij, ridotto allo stato laicale dal patriarca di Mosca Kirill per essersi rifiutato di recitare le preghiere belliche, il patriarcato di Costantinopoli si afferma definitivamente come l’àncora di salvezza del clero pacifista, estromesso dalla Chiesa russa fin dagli inizi dell’invasione dell’Ucraina. Il paradosso è che il patriarca Bartolomeo aveva deciso di sciogliere nel 2018 l’esarcato europeo russo, legato ai greci dai tempi della rivoluzione bolscevica per accogliere i sacerdoti in esilio dal potere ateista. Si voleva prendere del tutto le distanze dai russi in vista dell’approvazione dell’autocefalia ucraina, e ora in conseguenza della guerra contro l’Ucraina si sta creando un nuovo “clero russo costantinopolitano”.

Uminskij è stato inserito nel gruppo dei sacerdoti ortodossi russi che in Lituania hanno rifiutato l’appoggio del patriarcato di Mosca alla guerra, a loro volta estromessi dal metropolita Innokentij (Vasil’ev) di Vilnius, che a lungo ha tentennato sulla questione per poi sottomettersi a Kirill, evitando di ricevere l’anatema. La stessa Chiesa russa, nella sua storia, aveva sempre rifiutato la scomunica per “motivi politici”; si ricorda il caso clamoroso del metropolita Arsenij (Malevic), riabilitato dal Concilio del 1917-18 tenuto durante la rivoluzione, che era stato privato dell’ordine sacerdotale a fine ‘700 su iniziativa della zarina Caterina II per le sue proteste contro la confisca delle proprietà ecclesiastiche.

Ora invece il patriarcato russo fa proprie le leggi putiniane contro gli “agenti stranieri” anche al proprio interno, cacciando e punendo i membri troppo sbilanciati verso i “nemici della patria”.

E il patriarca Bartolomeo non ha più indugi nell’accoglierli “sotto il suo omoforion”, la stola patriarcale come si dice per l’autorità gerarchica in Oriente. A giugno dello scorso anno aveva riabilitato padre Ioann Koval, che nella preghiera per la santa Russia aveva sostituito la parola “vittoria” con “pace”, e ora svolge il suo ministero ad Antalya in Turchia. I preti lituani erano stati accettati già l’anno precedente, e ora si organizzano grazie all’ospitalità delle chiese cattoliche, essendo stati estromessi da quelle russe di Vilnius e delle altre città della Lituania.

È passato a Costantinopoli anche padre Andrej Kordockin, che ha servito per anni in Spagna ed è molto noto per i suoi interventi su Novaja Gazeta, l’agenzia russa condannata come “agente straniero”, e su altre piattaforme. Ora si è trasferito in Germania e partecipa al progetto “Pace a tutti”, sorto proprio per aiutare i sacerdoti espulsi dal patriarcato di Mosca. (…)

Mosca non riconosce il diritto di Costantinopoli di riabilitare i sacerdoti espulsi, che invece il patriarcato ecumenico rivendica come tradizione di “ultima istanza” ecclesiastica fin dai tempi più antichi. Le diatribe canoniche nell’Ortodossia del resto sono sempre difficili da dipanare, facendo appello a canoni di concili antichi spesso contraddittori, e senza un codice comune di diritto canonico come nella Chiesa cattolica. In questo caso, però, i greci hanno un asso nella manica, citando il concilio dei “Cento capitoli” di Mosca del 1551 sotto Ivan il Terribile, che nella storia della Chiesa russa equivale a quello di Trento per i cattolici, e dove si afferma chiaramente che “solo al patriarca di Costantinopoli è attribuito il potere di giudicare i vescovi e sacerdoti degli altri patriarcati”. Non era ancora stato istituito il patriarcato di Mosca, che sarà creato nel 1589, e non era ancora iniziato il conflitto con la futura Ucraina, prefigurato dall’Unione di Kiev con Roma del 1596.

Il patriarca Bartolomeo (Archontonis) è un greco dell’isola di Imvros, rimasta sotto la Turchia, ed è conosciuto come un sincero patriota turco, tanto da aver ricevuto il grado di ufficiale dell’esercito, dopo il servizio militare negli anni ’60. Ha studiato anche a Roma, in Svizzera e in Germania, è da sempre in buoni rapporti con i cattolici e il mondo ecumenico, e governa il patriarcato ecumenico da oltre trent’anni. Oggi diventa anche “padre dei russi” che non accettano la guerra, e a 84 anni si prende cura del futuro di una nuova Ortodossia.