CRISTIANI: IN IRAN NON C’E’ POSTO PER LORO

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Da Tempi.it del 30 gennaio pubblichiamo l’intervista ad una coppia di cristiani convertiti costretti alla fuga: “«In Iran, quando qualcuno diventa cristiano, sa che verrà abbandonato perfino dalla propria famiglia».

Improvvisamente si trasforma in qualcosa di sporco e infetto agli occhi della società. «Tutti lo rifiuteranno, compresi i parenti, in quanto estremisti essi stessi oppure per paura delle ritorsioni del regime contro i convertiti e le loro famiglie». Ali e Zahra sapevano tutto questo quando hanno scelto Gesù Cristo. Oggi la coppia vive in Turchia con i due figli ormai cresciuti, Daniel e Samuel. Non possono lavorare né frequentare scuole in quanto rifugiati, ma questo è niente in confronto alle persecuzioni e ai pericoli che hanno subìto nel loro paese e che li hanno costretti a scappare da lì con la morte nel cuore.

Ad Ali l’incontro con Gesù aveva letteralmente salvato la vita, tirandolo fuori in extremis – grazie alla testimonianza di un amico a sua volta convertito – da una spirale di droga, autolesionismo e depressione che lo stava risucchiando fino a portarlo a un passo dal suicidio. Poi il miracolo del cambiamento di Ali aveva “contagiato” anche Zahara. Ma quello che per i due sposi era il fatto più bello e determinante dell’esistenza si rivelò rapidamente una faticosa salita, a causa dell’ostilità del loro mondo.

Lo stigma fu particolarmente duro per Zahra, che era molto legata alla sua famiglia musulmana osservante. «Una sera», racconta la donna, «feci per uscire per andare a trovare mia madre, ma lei, avendolo saputo, uscì di casa appositamente per non dover fare entrare me. In un’altra occasione, mentre mangiavamo insieme, i miei ritirarono il mio piatto dicendomi: “È sporco perché ci hai mangiato tu, e adesso dobbiamo purificarlo”. Sono i dettami dell’islam». E se Zahra a causa della sua fede ora non poteva più contare sulla amata famiglia, entrambi scoprirono presto di aver perso tutti gli amici di un tempo: «Dicevano: “Se la gente ci vedrà con voi, penserà male anche di noi”».

E più la notizia della loro conversione si diffondeva, più le cose si facevano difficile per Ali e Zahra. L’uomo perse anche il lavoro, la sua famiglia perse i privilegi sociali. Ma le privazioni non erano affatto finite, perché Ali e Zahra per Cristo dovevano ancora perdere la libertà. Ad arrestarli, durante una riunione della rete segreta di chiese domestiche a cui appartenevano e di cui erano diventati anche ministri, furono i famigerati Guardiani della rivoluzione. «Entrarono dalla finestra perché non volevamo aprire loro la porta», ricorda Zahra. «Ci bendarono e ci portarono chissà dove, separandoci per interrogarci». Ali invece era altrove. Lo attirarono in ospedale con una menzogna. Ricorda lui: «“Corri, tua moglie è stata male, è ricoverata”, mi dissero al telefono. Ma un amico che lavorava al pronto soccorso mi rivelò che non era vero. Così, insospettito, lungo la strada mi misi a cancellare numeri e messaggi di altri cristiani che avevo nel telefono».

Rimasero nelle mani dei miliziani aguzzini per giorni interminabili, in celle senza luci né finestre né letti per sdraiarsi. «Sei sporca e trascini gli altri nel tuo sudiciume. Questo non è il tuo paese. Sarebbe meglio se tu crepassi», insultavano Zahra durante gli interrogatori in piena notte. Mentre per Ali oltre agli abusi psicologici ci furono anche le botte. «Mi pestavano mentre ero bendato, così non sapevo dove mi avrebbero colpito», ricorda. «Volevano sapere delle Chiese clandestine per infiltrarle. Non ottenendo nulla, mi minacciavano: “Sai dove sei seduto? Su una sedia elettrica”. E se io protestavo: “Quello che mi state facendo è illegale”, loro ribattevano: “Sono io la costituzione; quello che dico io è legge”».

Alla fine i due convertiti furono rilasciati, ma intorno a loro era stato fatto il deserto. «Qualunque impiego ottenessi, non durava più di una settimana», racconta Ali. «Le autorità scrivevano ogni volta ai miei datori di lavoro chiedendo di licenziarmi. I miei figli non potevano andare a scuola e io vivevo nell’angoscia: in qualunque momento potevo essere convocato improvvisamente per interrogatori che duravano a loro piacimento». Erano le autorità stesse a invitarli a lasciare il paese, dice Zahra: «“Non c’è posto per voi qui”, dicevano». Due anni dopo l’arresto, due anni da incubo, decisero di andarsene davvero.

«È un grande dolore lasciare così il proprio paese», ammette Ali. «Non avremmo mai voluto farlo, non è stata una nostra scelta. Noi abbiamo scelto solo di servire il Signore nella nostra vita». Zahra fa ancora fatica a rievocare il momento in cui la famiglia attraversò il confine con la Turchia lasciandosi l’amato Iran alle spalle forse per sempre: «Non riesco a dimenticarlo. In quel momento ho guardato la bandiera e ho pensato che sarebbe stata l’ultima volta che lo facevo», ricorda in lacrime.

Difficoltà, disagio e privazioni non mancano nemmeno ora che Ali, Zahra e i loro due figli sono in Turchia. In quanto rifugiati, nel paese non sono autorizzati a lavorare né a frequentare scuole. Sono ancora un corpo estraneo per la società in cui sono immersi, e così ogni giorno sono rimessi davanti al fatto di aver dovuto perdere tutto per Cristo. Ma se è la loro fede la causa delle loro sofferenze, è la stessa fede a dare loro la forza per affrontare le asperità. «Quando ti trovi in prigione», dice Zahra, «ti rendi perfettamente conto che niente è più sotto il tuo controllo. Nessuno potrà aiutarti. Possono farti quello che vogliono. Io in quei momenti pensavo: “Ci sono persone che mi vogliono bene e che piangono per il mio dolore, e soprattutto pregano per me”. Senza questa consapevolezza dell’amore di Dio, non si può tollerare un simile trattamento e perseverare».

«Sì, rifarei tutto». Ali e Zahra deciderebbero di nuovo di seguire Gesù Cristo, se potessero farlo ora che conoscono il prezzo da pagare? «La persona che mi interrogava in prigione mi ha posto la stessa identica domanda», racconta Zahra. «Mi ha detto: “Immagina che io non sia il tuo interrogatore e che tu non ti trovi in questo carcere. Se tornassi indietro sapendo tutto quello che ti capiterà, sceglieresti ancora Gesù?”. “Sì”, gli ho risposto».

«In mezzo a tutte queste sofferenze», commenta Ali. «Cristo non mi ha mai lasciato solo. Tanta gente mi ha abbandonato nelle difficoltà, ma non Lui. Lui non mi ha lasciato solo. Quando Gesù disse a Lazzaro: “Alzati e cammina”, Lazzaro non rispose: “No, non mi va”. Cristo ha fatto lo stesso con me: mi ha resuscitato dai morti. Non posso più vivere senza di Lui. Non posso non farci i conti».”