KHOMEINISTI RADICALI E KHOMEINISTI “CINESI”

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Chi fosse Mousavi negli anni ’80 ce lo racconta il giornalista Andrea Nardi dalle pagine della rivista on line “L’Occidentale”: Mousavi si oppose al rilascio dei prigionieri sequestrati nell’ambasciata americana; promosse l’ideologia talebana in versione sciita, tra cui la messa al bando del gioco degli scacchi e la fondazione di Hezbollah in Libano; sua fu la fatwa di morte contro lo scrittore Salman Rushdie, come ricorda Giulio Meotti sul Foglio: «Mousavi annunciò che i fedeli della Rivoluzione avrebbero preso “misure necessarie” per port arl a a termine. Nel 1991 la fatwa e i dettami di Mousavi diedero i primi frutti: a Tokyo venne ucciso a pugnalate il traduttore giapponese dei Versetti satanici, Hitoshi Igarashi. Trentasette ospiti di un albergo a Sivas, in Turchia, furono uccisi nei tentativi di linciaggio del traduttore turco di Rushdie, Aziz Nesin. Anche il traduttore italiano di Rushdie stava per essere ucciso». Oltre a questo Mousavi è stato – ed è – propugnatore dell’ atomica iraniana e ha seguito in tutto e per tutto il percorso radicale della rivoluzione khomeinista, con il suo pesante strascico di condanne a morte. Appartiene dunque a quel riformismo che oggi matura all’interno della Rivoluzione, ma che è ben lungi dal mettere in questione i postulati del khomeinismo. Politicamente vicini a Mousavi si situano gli ex Presidenti della Repubblica Khatami e Rafsanjani. Specie quest’ultimo – secondo quanto afferma il sociologo delle religioni Renzo Guolo – è da tempo fautore di una politica “alla cinese”: conservazione dell’ideologia teocratica islamista ma con moderate aperture nel campo delle libertà individuali e soprattutto di quelle economiche. Questo basta per fare dei tre i paladini della libertà agli occhi degli studenti, dei commercianti e delle donne, esasperati dall’attuale regime.
Decisamente diverso è invece l’atteggiamento del Presidente Ahmadinejad e del suo grande protettore, la Guida Suprema Alì Khamenei. Costoro rappresentano oggi l’ala più intransigente del khomeinismo, quello dei reduci di guerra, dei Pasdaran e dei Baji, che suicidi si lanciavano – invasati di ardore ideologico – sui campi minati nella guerra Iran-Iraq (1980-1988). Da tempo non si riconoscono più nelle nuove generazioni, di cui denunciano la mollezza e l’imborghesimento, e gridano alla Rivoluzione tradita. Sono pronti – oggi come già ieri – a morire in una sorta di soluzione f inale. Non temono quindi l’ecatombe nucleare, che anzi li avvicinerebbe ad una palingenesi religioso-sociale che vedrebbe – elemento non trascurabile – il ritorno del Mahdi, il Dodicesimo Imam nascosto. E tutto il mondo sciita, si sa, vive nella spasmodica attesa di tale improbabile ritorno …

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