LA COREA DEL NORD VA ALLA GUERRA, LA CINA PROTEGGE

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corre-missili.jpg_415368877Esplosioni, case in fiamme (almeno 70 completamente distrutte), morti e feriti lasciati sul terreno nel terrore generale, mentre circa duecento d i c olpi di artiglieria continuavano ad abbattersi – per un’ora circa – sull’isola sud-coreana di Yeonpyeong, abitata da quasi duemila civili (per lo più pescatori con le loro famiglie) e da 600 marines U.S.A.

L’isola si trova a circa 12 chilometri di distanza dalle coste della Corea del Nord e dunque è diventata un facile bersaglio.

La gente sul posto ha riferito di essersi trovata inerme in un mare di fuoco: “…un intollerabile e sconsiderato attacco contro i civili” – lo ha definito il Presidente sud coreano Lee Myunb-bak (cfr.: “Coree, il Nord bombarda il Sud. Venti di guerra nel Mar Giallo”, in: Il Messaggero, 24 novembre 2010, pag. 21).

In effetti l’aggressione di martedì 23 novembre è un’assoluta novità – in senso negativo – fin dai tempi della guerra di Corea: una palese violazione dell’armistizio firmato fra i due Paesi confinanti alla fine della guerra del 1949-1953.

L’attacco all’isola di Yeonpyeong è immediatamente successivo alla visita e alle dichiarazioni che lo scienziato statunitense Siegfried S. Hecker – invitato dal regime di Pyongyang – ha fatto a proposito del nuovo “gioiello” in campo nucleare nord-coreano: 2mila centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.

Veri precedenti di guerra si erano avuti già nella scorsa primavera con l’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan, colpita da un missile nord-coreano il 26 marzo 2010. Insieme con un’unità gemella (la Sokcho) la nave stava operando nel Mar Giallo nelle vicinanze dell’isola di Baengnyeong, in una zona di mare dove corre il confine marittimo tracciato dalle Nazioni Unite ma disconosciuto dal regime comunista nord-coreano. Immediatamente a sud di tale confine si trovano alcune isolette, fra cui quella pesantemente bombardata il 23 novembre.

La corvetta colpita si spezzò in due e solo 58 dei 104 membri dell’equipaggio furono tratti in salvo: 46 marinai morirono. Il comandante della nave, prima che la stessa affondasse, contattò il quartier generale della flotta sudcoreana rifer end o “di essere stati attaccati dal nemico”. Pyongyang si è sempre rifiutata di riconoscere alcuna responsabilità, anche se messa alle spalle da una serie di prove presentate alle Nazioni Unite dalla Corea del Sud.

A fronte di questi palesi atti di guerra non solo la Corea del Sud è comprensibilmente preoccupata per la propria incolumità, ma anche il vicino Giappone.

Il premier nipponico Naoto Kan ha detto che la Cina, grande protettrice di Pyongyang, dovrebbe dare una risposta adeguata sul comportamento della Corea del Nord:  “Il ruolo della Cina nella comunità internazionale è vasto e ne deriva una grande responsabilità. Credo che la Cina debba dare risposte appropriate, dato che è un Paese con delle responsabilità.” (cfr.: www.avvenire.it).

In realtà “Taluni osservatori” – scrive il generale Carlo Jean sul “Messaggero” di mercoledì 24 novembre (pag. 27) – “hanno espresso il sospetto che la Cina sia dietro alle iniziative nord-coreane. Pyongyang d ipende da Pech ino per i rifornimenti energetici e alimentari. Sa anche che i cinesi non possono essere sfidati impunemente. Quindi, sono stati quasi certamente messi al corrente delle iniziative nord-coreane…”. 

Piuttosto che intervenire presso il “regime fratello”, Pechino esprime invece preoccupazione per le preannunciate esercitazioni militari nel Mar Giallo condotte da Stati Uniti e Corea del Sud, blanda risposta (insieme all’invio in area della portaerei “George Washington”) all’attacco nord-coreano.

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