LA LIBERTA’ DELLE PERSONE E’ LA VERA QUESTIONE

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Angelo Panebianco, politologo e saggista

Leggiamo e volentieri riportiamo dal CORRIERE della SERA del 17 settembre 2012, a pagg. 1-34, l’editoriale di Angelo Panebianco, che per la straordinaria lucidità d’analisi merita la più ampia conoscenza e diffusione:

“È rassicurante pensare, come molti in Occidente pensano, che le rivolte antiamericane e antioccidentali che si sono diffuse in tutto il mondo islamico, siano state il frutto di una regia eversiva orchestrata da gruppi di radicali islamici più o meno infiltrati da jihadisti di Al Qaeda. Le regie ci sono state certamente. Ma i calcoli e i progetti degli estremisti avrebbero fallito il bersaglio se non avessero potuto contare su un contesto favorevole, se non avessero sfruttato un habitat culturale in cui è facile trasformare le responsabilità individuali in «colpe collettive». La cultura occidentale è una cultura individualista. Ciò significa che essa attribuisce all’individuo la responsabilità delle sue azioni. È questo fondamento individualista a giustificare il nostro sistema di libertà: tuteliamo le libertà individuali perché, dopo un lungo e travagliato processo storico, abbiamo fatto dell’individuo (e non di «entità collettive»: famiglia, clan, nazione, eccetera) il soggetto morale fondamentale delle nostre società.

Al di là del ruolo svolto da estremisti salafiti e qaedisti, l’aspetto più inquietante delle manifestazioni antioccidentali nel mondo islamico (come di quelle innescate, qualche anno fa, dalle vignette satiriche su Maometto) è il fatto che la responsabilità di un film offensivo non venga attribuita a chi lo ha prodotto, punto e basta, ma «all’America», al «governo americano», agli «occidentali». Per quanto crudele e ingiustificata (ai nostri occhi), la fatwa che Khomeini lanciò nel 1989 contro lo scrittore Salman Rushdie era pur sempre rivolta contro un individuo per le sue presunte colpe. Ma eravamo allora solo all’inizio di quel processo storico che è stato battezzato «risveglio islamico». Oggi, a risveglio islamico avvenuto, la responsabilità delle azioni di uno può essere imputata a tutti, a intere collettività. È questa la vera frattura culturale. È questo il terreno che alimenta lo scontro di civiltà. Chi è figlio di una cultura individualista non parla solo una lingua diversa rispetto a chi non lo è, appartiene a un pianeta diverso, «vede» cose radicalmente diverse da quelle che vede l’altro. Le conseguenze sono devastanti. Da un lato, ipotecano la democratizzazione del mondo arabo torcendola e indirizzandola lungo binari pericolosi. Dall’altro, mettono sotto pressione le nostre libertà.

Piacquero a tutti, in Occidente, quei ragazzi che nel 2011 innescarono la rivolta contro il regime egiziano di Mubarak. Li riconoscemmo simili a noi: volevano quella stessa libertà di cui noi godiamo. Ma quei giovani erano minoranza. Scossero l’albero ma i frutti vennero raccolti dai movimenti islamisti. Per lo più «moderati» (secondo la fuorviante etichetta che noi occidentali appiccichiamo ai più realisti, ai più «politici», fra gli islamici). Moderati? Già, ma perché allora, tanto per fare un esempio, il presidente egiziano Morsi ha già liberato molti estremisti islamici arrestati a suo tempo dai militari mentre lascia in galera i laici? E perché i «moderati», ora democraticamente al potere in Tunisia, hanno già fatto i primi passi per cambiare (in peggio) la condizione legale delle donne? Poiché le libertà degli individui poggiano su fondamenta individualiste, laddove quelle fondamenta manchino l’esito della democratizzazione può essere solo una democrazia illiberale. Questo spiega il paradosso solo apparente per cui le minoranze (a cominciare dai cristiani) si sentono più protette dalle dittature che dalle democrazie islamiche: temono, con buone ragioni, di cadere vittime della tirannia delle maggioranze. Gli occidentali dovranno usare un mix di fermezza, diplomazia e realismo per trattare con quel mondo. Ma bisognerà anche evitare di credere che l’eventuale presenza di processi elettorali lo rendano simile al nostro: democrazia e protezione delle libertà individuali non sono sinonimi, né vanno necessariamente a braccetto.

A rischio ci sono anche i nostri principi e le nostre libertà. Chi scrive prova una profonda avversione per chiunque offenda gratuitamente i sentimenti dei credenti di qualunque religione. Ma non è questo il punto. Il punto è che qui si parla di censure preventive, di processi ai colpevoli di islamofobia, eccetera. Si parla, cioè, di indebolire o compromettere il nostro sistema delle libertà. Il risveglio islamico, vuoi in variante jihadista vuoi in variante democrazie illiberali, comporta la richiesta a noi occidentali di diventare meno liberali. Avremo abbastanza coraggio e fermezza per respingere al mittente la richiesta? Nella prima metà del XIX secolo Alexis de Tocqueville riconobbe nella democrazia il destino ineludibile dell’uomo moderno. Ma sostenne anche che essa avrebbe assunto, a seconda delle circostanze, l’uno o l’altro di due volti: liberale o dispotico. È una tesi sempre attuale.”

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