LA RABBIA E L’ORGOGLIO – 2^ parte – (di Omar Ebrahime)

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ffff Qui Oriana Fallaci tocca il punto più discusso della sua argomentazione: il fatto cioè che, a suo avviso, “tutte le rivoluzioni dell’Islam sono incominciate grazie agli Imam nelle moschee. La Rivoluzione Iraniana incominciò grazie agli Imam nelle moschee, non nelle università come oggi si vuol far credere. Dietro ciascun terrorista islamico c’è un Imam e io vi ricordo che Khomeini era un Imam, che i leader dell’Iran erano Imam. Ve lo ricordo e affermo che nove Imam su dieci sono Guide Spirituali del terrorismo” (pag. 32). Con la qual cosa, ovviamente, l’Autrice nega alla base che la più seguita predicazione popolare mussulmana possa essere assimilata in alcun modo a un semplice sermone in una sinagoga o a un’omelia in una chiesa.

Conscia dello scandalo che una tale posizione potrebbe creare nel mondo intellettuale e anche politico-istituzionale in genere, l’Autrice giustifica le sue idee tornando a quello che provò la mattina dell’11 settembre nella sua casa al centro di Manhattan: “la sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e tendi le orecchie e gridi a chi ti sta accanto: ‘Down!Get down!Giù!Buttati giù!’” (pag. 52).

Oggi si potrebbe aggiungere naturalmente la questione del Califfato in Iraq e il neo-costituito Isis, che Fallaci non ha fatto in tempo a vedere. Da liberale che non rinnega le sue idee, la scrittrice tiene poi a precisare che comunque “più una società è democratica e aperta, più è esposta al terrorismo. Più un Paese è libero, non governato da un regime poliziesco, più subisce o rischia i dirottamenti o i massacri che sono avvenuti per tanti anni in Italia, in Germania, in altre regioni d’Europa” (pag. 59) e che quindi la nostra sensazione diffusa di invulnerabilità, come Stato, è per l’appunto solo una ‘sensazione’ e alla fine anche piuttosto ingenua perché profondamente immotivata se solo si considera – ad esempio – che, numeri alla mano, negli Stati Uniti vivono attualmente circa ventiquattro milioni di mussulmani a fronte dei ‘soli’ undici dell’Unione Europea, una cifra che comincia a rappresentare un gruppo rilevante anche nel Paese comunque più grande e pluralista del mondo. Tuttavia, persino in questa situazione c’è una differenza notevole tra la società americana e quella europea, o più ancora italiana. A tutto vantaggio degli USA e a tutto svantaggio nostro, ovvero il patriottismo: quella sorta di religione civile che nel mondo a stelle e strisce a volte è persino più forte e diffusa di quella rivelata, cristiana o ebraica che sia. Detto con parole semplici: può darsi che non tutti gli americani credano in Dio, ma è certo che tutti credono nella forza universale del loro Paese. Che questa poi esista veramente o sia largamente sopravvalutata nei mezzi di comunicazione è un aspetto tutto sommato secondario, perché alla fine quello che conta è appunto l’amore concreto e manifesto alla Patria e alla propria cultura nazionale.

Per Fallaci siamo dunque in guerra, che lo vogliamo o no: “una guerra che essi chiamano Jihad: Guerra Santa. Una guerra che […] certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci…” (pag. 78).

A chi rimprovera la scrittrice, e lo hanno fatto in tanti, di esagerare e non conoscere la realtà di cui parla scrivendo solo con risentimento (che pure in certe espressioni è evidente, innegabile e oltremodo censurabile) per slogan e generalizzazioni, Fallaci risponde che il fanatismo islamicamente ispirato lo ha conosciuto “abbastanza bene” (pag. 91) nella sua vita da giornalista inviata per il mondo: ad esempio in Iran, Iraq, Pakistan, Bangladesh, Arabia Saudita, Kuwait, Libia, Giordania, Libano. Tutti Paesi visitati per lavoro e in cui ha avuto modo di conoscere la vita interna e le varie, spesso difficili situazioni sociopolitiche, caratterizzate – frequentemente – da soprusi e discriminazioni pubbliche verso chi islamico non era o chi aveva il solo torto di essere donna, o ancora bambino, incapace di decidere e affermare liberamente la sua volontà.

Paradigmatico per comprendere l’essenza intrinsecamente intollerante della mentalità islamista è per la scrittrice  l’episodio della distruzione deliberata (nel marzo 2001, con quindici tonnellate di esplosivo) delle due millenarie grandi statue di Buddha (rispettivamente risalenti al III e IV secolo) che si trovavano nella vallata di Bamiyan (Afghanistan) incastonate da millenni nella roccia. Un’operazione pubblicizzata e persino filmata davanti al mondo intero a mò di esecuzione capitale, giusto a pochi mesi dall’attacco alle Torri Gemelle, fortissimamente voluta dal regime dei Talebani, e confermata formalmente – nonostante gli appelli internazionali in senso contrario – dal verdetto della Corte Suprema del Tribunale Islamico di Kabul. E’ chiaro che in un contesto del genere porsi a intavolare negoziati astratti su cose come democrazia, diritti o laicità non ha evidentemente alcun senso: troppo distanti i mondi, troppo diversi i linguaggi, spesso privi persino dei termini fondamentali per tradurre i concetti giuridici di riferimento. Certo, va detto che l’Islam ha una storia di 1400 anni e non è nato ieri: al suo interno vi sono probabilmente più differenze, sfumature e sottigliezze di quante non ne scorga nel complesso l’Autrice. Tuttavia, ad anni di distanza, si può affermare senza tema di smentita che alcune delle sue previsioni – non proprio poche – si sono in breve tempo avverate drammaticamente e anzi, a maggior ragione, che nonostante il successo di vendite del saggio sul mercato, la conoscenza da parte dell’opinione pubblica nostrana colta e mediamente informata del fenomeno islamico – compreso quello rappresentato dalle crescenti comunità migranti e dalle loro seconde generazioni – rimane ancora, in grandissima parte, del tutto approssimativa se non proprio semplicemente irrealistica e piuttosto artefatta.

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