LULA, IL DIFENSORE DEI DIRITTI CHE HA PER MODELLO L’IRAN (di Gian Micalessin)

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Da “il Giornale” di venerdì 31 ottobre (pag. 15) leggiamo e riportiamo:

“Il presidente Lula, ci fanno sapere i giornali brasiliani, è preoccupato. Teme che quel fiorellino gentile d’un Cesare Battisti rischi la sua nobile vita se estradato in Italia. C’è da capirlo. Le questioni umanitarie e le sofferenze di chi si batte per una giusta causa agitano da sempre il nob ile cuore di que- sto presidente libertario e democratico. I fatti sono lì a dimostrarlo. Nell’agosto del 2009 mentre gli aguzzini del regime di Teheran continuano ad arrestare e torturare i dissidenti scesi in piazza per contestare la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad – Lula “cuore d’oro” è uno dei pochi capi di Stato a congratularsi con il riconfermato presidente iraniano. E pochi mesi dopo – nel novembre 2009 – non esita a riceverlo con tutti gli onori a Brasilia. Del resto vorrai metter la retrograda e repressiva penisola italica con quel paradiso dei diritti umani chiamato Iran. Un paradiso a cui – sostiene Lula – bisogna concedere fiducia in tutti i campi. Non escluso quello nucleare. Così nel giugno di quest’anno il Brasile è uno dei pochi a respingere con un secco “no” la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che vara nuove sanzioni destinate a bloccare la corsa al nucleare degli iraniani. Quelle sanzioni, votate persino da Cina e Russia, fanno inorridire il buon Lula. «La pace mondiale – sostiene lui – non si raggiunge isolando qualcuno». Neppure se quel qualc uno si ripromette di cancellare dalla carta geografica un Paese chiamato Israele. Ma queste, direbbero i sostenitori di Lula, son meschine bassezze. Confondere le preoccupazioni per quel gentiluomo d’un Cesare Battisti con una politica estera che permette a Teheran di aggirare le sanzioni e garantisce al Brasile scambi economici per oltre un miliardo di dollari annui non è cosa né buona nè giusta. Allora parliamo di politica vera. Parliamo di politica “ brasileira”. Parliamo di una politica che ha come astro nascente un personaggio “ omologo”, per certi versi, al nostrano Cesare Battisti. Lei si chiama Dilma Roussef e oltre ad essere la neo eletta presidente, destinata a succedere dal primo gennaio a Lula, è anche una ex terrorista marxista. Una che per sua ammissione non esitava, ai tempi della lotta alla giunta militare, a maneggiare le armi. E neppure a sp arare, o a rapinare. Una che il 18 giugno del 1969 mette a segno – assieme ai compagni di “Vanguarda Armada” – una rapina fruttata oltre 2 milioni e mezzo di dollari. Con questo passato turbolento il neo presidente Dilma Roussef non è probabilmente la persona più adatta a gestire la difficile eredità del caso Battisti. Lei in campagna elettorale si è detta pronta ad esaminare e – nel caso – a concedere l’ estradizione del terrorista italiano. Ma una cosa è dirlo, un’altra è farlo. Per un’ ex terrorista – responsabile di azioni molto simili, anche se meno sanguinarie e immotivate, di quelle attribuite a Battisti – sarebbe comunque assai difficile rompere con la linea di Lula, tradire il presidente che le ha garantito la vittoria mettendole a disposizione i voti del proprio elettorato. Ma sarebbe ancor più imbarazzante passare alla storia come la salvatrice finale di un Cesare Battisti che continua a sostenere di aver agito per gli stessi “nobili” ideali perseguiti in gioventù dalla signora Roussef. E così alla fine Lula “cuor d’oro” potrebbe aver deciso di levar le castagne dal fuoco alla propria pupilla assumendosi, a poche ore dalla fine del mandato, la responsabilità di garantire asilo e salvezza ad uno spregiudicato terrorista assassino.”

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