NELLA TRAPPOLA IRACHENA (L’Ora del Salento, 17 novembre 2007, pag.11)

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iraq_333_x_233.jpg OSSERVATORIO GEO-POLITICO
(a cura di Roberto Cavallo)
Jean Benjamin Sleiman è segretario della Conferenza Episcopale irachena e presidente di Caritas Iraq.
Nato a Jbail (Libano) nel 1946, di origine maronita, vive in Iraq dal 2001, da quando la Santa Sede lo nominò arcivescovo di Baghdad dei Latini.
Guida un piccolo gregge di cattolici di rito latino, che insieme ad altre 11 denominazioni di rito orientale fanno parte dei circa 750.000 cristiani dell’Iraq, corrispondente al 3% dell’intera popolazione irachena (25 milioni di abitanti).
Nel suo libro-testimonianza “Nella trappola irachena” (Paoline Editoriale Libri, 2007, pagg.132, euro 9,50) Mons. Sleiman racconta il dramma quotidiano dei cristiani iracheni. Ingiustamente accusati da musulmani estremisti di essere al servizio degli Stati Uniti; di fatto ignorati dagli attuali giochi politici governativi, in centinaia di migliaia stanno scegliendo l’esilio, pur tra enormi difficoltà perchè ” gli Occidentali preferiscono i musulmani; a loro concedono più facilmente i visti ” (pag.95).


La differenza fra il regime di Saddam e l’attuale situazione è la peggiorata cornice di sicurezza, ma non il latente ruolo di subalternità vissuto dalle Chiese orientali nel Paese dei due fiumi.
Così l’Autore denuncia la secolare “dhimmitudine“, e cioè l’atavica sottomissione risalente alla conquista araba della Mesopotamia. E’ da 13 secoli, scrive Mons. Sleiman, che i non musulmani dei Paesi islamici sono costretti a varie e mortificanti forme di sottomissione – non solo fiscali! – pur di godere del diritto di sopravvivenza all’interno del loro Stato. Da sempre i Cristiani, come gli Ebrei e gli Zoroastriani, hanno dovuto cercare la protezione di qualche potente clan sunnita o sciita, o kurdo, per poter vivere una esistenza più o meno tranquilla. Oggi la nuova Costituzione se da un lato riconosce i fondamentali diritti umani, e quindi anche la libertà di coscienza e di espressione, dall’altra pone comunque la sharia a fondamento della legge di Stato.

E’ qui la differenza con i connazionali musulmani, “… i quali possono sì soffrire per gli stessi mali, ma non si trovano schiacciati dal peso di una storia di angosce e paure simili.E’ l a dhimmitudine a fare la differenza.” (pag.66).
In tutto ciò, quale ruolo gioca ancora la presenza militare degli Stati Uniti ?
Scrive l’Arcivescovo Sleiman: “La questione non è per nulla semplice Dal canto mio, auspico che tutto si compia in accordo con l’autorità irachena, anche se ritengo sia prematuro lasciarla sola nell’affrontare i gravissimi problemi interni ed esteri“.

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