NELLE PIEGHE DELLA STORIA: LA CINA E L’ANTICA ROMA (di Claudio Tescari)

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Già negli ultimi decenni della Repubblica, i cittadini romani appartenenti alla nobiltà senatoria e gli arricchiti davano sfoggio di un lusso smodato, facendo costruire case di abitazione e ville sontuose, imbandendo banchetti con cibi esotici e costosi, insaporiti da spezie orientali, adornandosi di gioielli preziosi per le gemme dell’India e vestendosi di abiti raffinati per i tessuti e per i ricami delle decorazioni. Tra i tessuti, specialmente per l’abbigliamento femminile, particolarmente ricercata era la seta, un prodotto di importazione della cui provenienza si favoleggiava e di cui non si conosceva il metodo di fabbricazione. Infatti, i cinesi -tutti i cinesi- tenevano nascosto questo segreto, anche ai commercianti arabi, indiani e persiani che provvedevano a vendere la seta in occidente, sempre e solo in cambio di oro. All’epoca dell’imperatore Claudio, i commercianti romani iniziarono a viaggiare per mare verso l’India, sfruttando i venti monsonici, per raggiungere direttamente la fonte dei prodotti di lusso più richiesti nell’Urbe. Ma anche i cinesi tentarono di aprire contatti con il ricco mercato romano e fu l’imperatore della Cina, nell’anno 89 d.C. ad inviare un incaricato per attivare relazioni commerciali dirette con Roma, che chiamavano Tach’in ovvero il paese “al di là del mare”. Kan Ying, questo era il nome dell’ambasciatore, viaggiò per molti mesi e giunse fino alle sponde del Mediterraneo, ad Antiochia, sulla costa meridionale dell’attuale Turchia, ma qui si arrestò. Alcuni commercianti Parti (cioè dell’odierno Iraq) nel timore di perdere i lauti guadagni derivanti dalle loro intermediazioni commerciali, convinsero l’inviato del Figlio del Cielo che la distanza da Roma era ancora enorme, essendo quel mare tanto vasto da prolungare il viaggio per altri due anni. Kan Ying decise quindi di tornarsene in Cina. Alla fine del I secolo, alcuni avventurosi commercianti giunsero fino al delta del Mekong, realizzando i primi scambi diretti di merci, le quali furono poi commercializzate fino in Corea, dove sono stati ritrovati piatti di vetro italici nel corredo funerario di principi locali. Solo nell’anno 166 d.C. alcuni mercanti raggiunsero la Cina continentale e, facendosi passare per ambasciatori dell’imperatore Marco Aurelio Antonino (An-tun secondo gli annalisti cinesi), recarono in dono avorio, gusci di tartaruga e corni di rinoceronte, che i cinesi ritennero doni di poco valore. Di conseguenza la mercanzia romana non trovò acquirenti ed i commercianti pagarono in oro la seta e gli altri prodotti cinesi. Di questi rapporti commerciali diretti con Roma abbiamo notizia dagli storici cinesi, perché quelli romani non ne fanno cenno, non avendone notizia o ritenendoli di scarsa importanza.

Il “segreto” della seta fu svelato solo quattrocento anni dopo, durante il regno dell’imperatore bizantino Giustiniano, quando due monaci fecero un lungo viaggio per evangelizzare i popoli dell’Asia e tornarono dalla Cina con alcuni bachi da seta nascosti nel cavo dei bordoni (bastoni da viaggio) che donarono all’imperatrice Teodora. La coltivazione del gelso e l’allevamento dei bachi in Occidente ebbe un rapido sviluppo, ma ci vollero ancora dei secoli per raggiungere la raffinatezza cinese nella tessitura di stoffe di seta.

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