O.N.U.: KHMER ROSSI A GIUDIZIO

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lyIl 17 febbraio scorso è  cominciato in un tribunale speciale cambogiano, sotto l’egida delle Nazioni Unite e con la partecipazione di giudici internazionali, il processo a Kaing Guek Eav, più comunemente noto come “il compagno Duch”. E’ il primo khmer del regime di Pol Pot a finire alla sbarra per crimini contro l’umanità, nel corso dell’inchiesta sulle violenze di massa compiute dai comunisti cambogiani tra il 1975 e il 1979. Un processo atteso a lungo, anche per accontentare quell’80 per cento della popolazione cambogiana che a distanza di 30 anni si sente ancora vittima dei khmer rossi. Fra i testimoni del dibattimento vi sarà Vann Nath, uno dei sette sopravvissuti alla prigione S-21 di Phnom Penh, nella quale tra il 1975 e il 1979 per mano del “compagno Duch” morirono circa 17mila persone fra uomini e donne.  Di questi sette, solo tre sono ancora vivi.

Altre migliaia di persone, dopo essere state seviziate, furono dirottate nei campi di lavoro, dove avevano scarse possibilità di sopravvivere. Il compagno “Duch” – 66 anni – dovrà rispondere di «crimini di guerra» e di «crimini contro l’umanità». Sul suo capo pende l’accusa di aver ordinato torture, stupri e più di cento omicidi al giorno. È il primo procedimento in assoluto a carico di un esponente di prima fila dei khmer rossi. Altri ne seguiranno contro autorevoli esponenti dell’ex regime di Pol Pot, morto il 15 aprile del 1998 senza aver mai risposto delle atrocità commesse. Pol Pot e i suoi compagni si formarono politicamente negli anni ’50, frequentando a Parigi l’università – grazie a del le borse di studio – e le locali cellu le del partito comunista.

Il tribunale chiamato a giudicare i crimini in Cambogia è stato costituito nel maggio 2006, dopo otto anni di difficili trattative tra Phnom Penh e le Nazioni Unite, cosa che ha fatto mettere in dubbio la volontà del governo di renderlo operativo.

I quadri del vecchio regime occupano infatti ancora un ruolo attivo nella vita politica del Paese. Essi non hanno alcun interesse ad approfondire indagini per crimini commessi nel passato: per connivenza, per paura o perché convinti della follia rivoluzionaria di Pol Pot, che non ha esitato a sterminare quasi due milioni di persone pur di creare «l’uomo nuovo» socialista.  

Giudicare uomini ormai attempati non è solo un servizio alla giustizia e alla memoria delle vittime e dei sopravvissuti, ma, come ha scritto il filosofo francese Jankelevitch, è anche un’esigenza morale: “…dimenticare crimini giganteschi contro l’umanità significa commettere un nuovo crimine contro il genere umano…Il passato ha bisogno che lo si aiuti, che lo si ricordi agli immemori, ai superficiali, agli indifferenti; ha bisogno che le nostre celebrazioni lo salvino dal nulla: il passato ha bisogno della nostra memoria”. E Antonio Cassese dalle pagine di Repubblica (18 febbraio ’09, pag. 31), ammonisce: “Ricordare celebrando processi contro gli autori presunti di crimini gravissimi serve anche a documentare, attraverso la raccolta minuziosa di prove, il contraddittorio di testimoni e la valutazione scrupolosa dei fatti, cosa realmente accadde: i processi penali non devono solo accertare chi è colpevole e chi è innocente; essi servono anche alla storia”.

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