LA CINA DI FRONTE ALLA CRISI MONDIALE

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APTOPIX China US Clinton AsiaIl nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton all a sua prima uscita internazionale ha fatto visita a Pechino. Le economie dei due Paesi sono strettamente intrecciate da tempo, da quando cioè il surplus delle esportazioni cinesi ha prodotto un grande attivo nella bilancia dei pagamenti a favore della Cina. Nel 2008 – scrive Federico Rampini su Repubblica di giovedì 19 febbraio – la produzione made in C ina esportata negli USA ammontava a 338 miliardi di dollari, con un attivo netto di 266 miliardi di dollari. Ciò significa che anche nell’ anno della grande crisi gli statunitensi h anno comprato una marea di articoli prodotti in Cina. Come vengono reinvestiti poi questi miliardi in attivo ? In BOT americani, per un totale di 700 milioni di dollari. Ogni asta di Bot americani fallirebbe se non si presentassero i banchieri di Stato cinesi a fare la parte del creditore buono che salva l’economia statunitense. E’ quanto scrive il giornalista di Repubblica Federico Rampini, grande esperto di cose cinesi, il quale afferma pure che in cambio dell’apertura dei mercati statunitensi, Pechino sovvenziona con generosità il vizio dell’America di vivere al di sopra dei suoi mezzi. Non solo: la produzione industriale cinese non sempre è evidente: per lo più si nasconde dietro i marchi delle grandi aziende occidentali: è una potenza economica per certi aspetti ancora invisibile e quindi sfuggente. La produzione cinese entra “omeopaticamente” – così leggiamo su Repubblica –nei grandi magazzini del discount, dove comanda il prezzo basso. La Cina si insinua, con il proprio capitalismo di Stato, nei portafogli dei consumatori americani e occidentali. Insomma se le cose continueranno ad andare avanti così il numero dei debitori di Pechino nel mondo crescerà sempre di più.

E’ vero che la crescita del PIL cinese oggi sta rallentando, ma questa crescita si mantiene tuttavia a livelli alti, sicuramente superiori a quelli dell’Occidente. Le riserve valutarie ufficiale della Banca centrale cinese ammontano a 2.000 miliardi di dollari: così la Banca centrale di Pechino è la più ricca del mondo. Le cinesi ICBC e China Constructions Bank oggi sono i due maggiori istituti di credito del mondo per la capitalizzazione in Borsa. Ma la stessa Borsa cinese non è estranea alla circolazione dei titoli cosiddeti “tossici”.

Perfino l’entourage di Barak Obama sta comprendendo la gravità di questa situazione, e così il segretario al Tesoro, Tim Geithner, ha accusato Pechino di voler manipolare la valuta cinese a danno di quella americana. Anche per questo nella recente manovra economica varata dal Congresso degli Stati Uniti vi è la clausola Buy American (e cioè “compra americano”): fra i suoi obiettivi vi è il sostegno all’industria pesante statunitense. Dal canto suo il dragone ha risposto con l’accusa di protezionismo a Washington, gettando subito le relazioni nel gelo. Forse per questo motivo Hillary Clinton non ha avuto il coraggio di puntare il dito sulla situazione dei diritti umani nel Paese comunista. Con le questioni commerciali così delicate sul piatto della bilancia, oggi sembrano lontani i tempi del 1995. All’epoca, l’allora first lady Clinton pronunciò un discorso alla Conferenza Mondiale delle Donne in corso a Pechino, che il regime ricorda ancora oggi. In quel discorso del 1995 la Clinton denunciava la repressione dei dissidenti, gli arresti arbitrari, la limitazione della libertà di espressione. Oggi molti chiedono che Hillary Clinton intervenga presso il governo cinese a favore di Liu Xiaobo, l’ideatore della Carta 2008, in prigione dallo scorso dicembre; ma Hillary Clinton ha detto che al momento la questione dei diritti umani non “non deve interferire” nella cooperazione fra Washington e Pechino.

In ogni caso la Cina non si limita a guardare ciò che accade negli U.S.A e a finanziarne il debito, e impiega le sue imponenti riserve valutarie anche per altri scopi, come il finanziamento dell’acquisto di nuovi giacimenti di materie prime all’estero, dall’Australia all’Africa all’America Latina. Alcuni paesi sull’orlo della bancarotta finanziaria e sociale riescono a mantenersi a galla soltanto grazie al sostegno economico ma anche militare della Cina. E’ il caso per esempio dello Zimbabwe del dittatore africano Robert Mugabe. Mentre i 13 milioni di abitanti dello Zimbabwe vivono nella fame e nella miseria più nera, assediati dall’epidemia di colera; mentre le poche centinaia di coloni bianchi rimasti di origine anglosassone vengono ogni giorno minacciati e cacciati dalle loro tenute agricole, che un tempo non lontano garantivano al paese l’autosufficienza alimentare; mentre avviene tutto questo, il Presidente-dittatore Mugabe, alla veneranda età di 85 anni, ha da poco acquistato una lussuosa villa da 4 milioni di sterline nel quartiere Tai Po di Hong Kong che, come si sa, fa parte a tutti gli effetti della repubblica Popolare cinese. Ma, come ci racconta il Messaggero di lunedì 16 febbraio, è l’intera famiglia presidenziale che si concede spese pazze in Cina, con il beneplacito delle compiacenti autorità di Pechino. La Cina così guarda lontano e continua ad accaparrarsi concessioni su concessioni, tanto in Africa che negli altri continenti: insomma la Cina è sì investita dalla crisi mondiale, ma solo fino ad un certo punto, e comunque intende e può reagire con determinazione. Per esempio, Pechino non si fa troppi scrupoli a ricacciare nelle campagne quell’esercito di sottoccupati e disoccupati – circa 27 milioni di persone, ci racconta Repubblica di giovedì 19 febbraio – che in questi ultimi anni hanno sperato nel miraggio di un lavoro stabile in città e che oggi si trovano in difficoltà.

In realtà la crisi, come ci riferiscono i giornali in questi giorni, dopo l’America si sta spostando verso l’Europa, e se ancora la parte occidentale non ne è stata investita in pieno, l’Europa orientale inizia ad arrancare, esattamente a 20 anni dalla caduta del muro di Berlino. Per cui, notano gli specialisti di geopolitica, sarebbe veramente assurdo che dopo aver tanto lottato per l’unificazione, adesso la crisi mondiale giunga a spaccare ciò che a fatica era stato unito. Polonia, Ungheria, Romania, Repubblica ceca, iniziano a dare segni di gravi difficoltà, e di notevole esposizione verso il sistema bancario internazionale che in quei paesi ha molto investito.

Come Benedetto XVI ha affermato in varie occasioni, non ci troviamo soltanto di fronte ad una crisi economica o finanziaria. Si tratta in primo luogo della crisi di una società che persegue il modello del guadagno facile, e soprattutto rapido, a volte a scapito della giustizia, della solidarietà o anche dei valori etici più fondamentali.

In questo modo, all’improvviso, vengono messi in discussione i miraggi del consumismo, che sembravano essersi trasformati nell’unico criterio e nel valore assoluto proposto dall’etica relativista. Naturalmente non è in gioco il diritto di impresa né tanto meno il diritto di proprietà; ma bisogna interrogarsi sulla spregiudicatezza di certo capitalismo finanziario – la cosiddetta “finanza creativa” -, spesso completamente disancorato dalla realtà lavorativa e produttiva. Insomma, per dirla con una battuta, bisogna tornare a guadagnare con il sudore della fronte e non con il gioco speculativo nelle varie borse del mondo. Soprattutto bisogna ritornare alla sana consuetudine del risparmio, rifuggendo da lussi e comodità che non possiamo più permetterci, neanche con i mutui.

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