“QUO VADO?”, IL NUOVO FILM DI CHECCO ZALONE AL CINEMA (recensione a cura di Omar Ebrahime e David Taglieri)

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downloadL’attore Luca Medici, celebre ormai con il nome d’arte di “Checco Zalone”, ha il piglio decisamente arcitaliano: uomo del Sud che ama le proprie radici, ha costruito molto del suo successo proprio sulla riscoperta della cultura popolare allo stato più genuino, nei modi di parlare come di pensare e di vivere. Nel suo ultimo film Quo vado, nei cinema in questi giorni, non mancano certo riferimenti agli storici vezzi e vizi degli Italiani; tuttavia resta un sano ottimismo di fondo che guarda alla realtà sociale del nostro Paese – per come si è costruita, e per quello che è – con più divertimento anziché disincanto ed è forse questa la differenza principale con gli altri prodotti contemporanei che la nostra cinematografia pure realizza di tanto in tanto sull’Italia e l’italianità. Se lì emerge quasi sempre una vergogna di fondo rispetto a quello che si è e alle proprie origini nazionalpopolari, qui – senza per questo assumere toni seri – s’indossano pienamente quegli abiti nella consapevolezza che il nostro Paese è quello che è proprio perché è italiano e non scandinavo, russo o americano. In quest’occasione sul set troviamo anche il decano della commedia all’italiana: Lino Banfi – pugliese d.o.c. come Zalone – che interpreta un riuscito stereotipo di un senatore della Prima Repubblica, espertissimo della materia da sempre più studiata dal politicante di mestiere, ovvero ‘come cavarsela sempre senza mai lavorare’. Con lui a fare da spalla, Zalone riesce ad intercettare il consenso più ampio del pubblico proprio perché sembra porsi, anche per questioni anagrafiche, come una sorta di cerniera fra le generazioni dei più anziani e quelle dei più giovani sfoggiando con naturalezza una galleria esuberante di macchiette e battute in serie che non hanno tempo né età. Qui il tema è il posto fisso e il paragone proposto dalla trama è tra la realtà norvegese – emblema dell’efficienza scandinava e più in generale nord-europea, dove funziona sempre tutto alla perfezione – e appunto il nostro Mezzogiorno, dove in effetti spessissimo non funziona molto ma restano comunque il calore umano, la solarità della gente e una comunità di relazioni sempre accoglienti e generose.  Se poi ci si mette anche il clima – freddo e buio per la gran parte dell’anno in Norvegia, mite e ospitale in Italia – sembra suggerire la pellicola, per non parlare del cibo (come vivremmo senza pastasciutta?), allora non c’è proprio partita.

Tuttavia, la storia non è così semplice e nelle due ore del film i colpi di scena si susseguiranno uno dopo l’altro, spostando creativamente la telecamera da una parte all’altra del globo: l’inizio, da non perdere, è addirittura nella savana centrafricana tra una tribù selvaggia di cacciatori a mani nude e sciamani, mentre più avanti Zalone si trova al Polo Nord, in una stazione artica tra gli orsi polari, dove scoprirà l’amore, invaghendosi – guarda un po’ – dell’unica ragazza italiana presente. E sarà proprio lei, l’affascinante Valeria (interpretata da Elena Giovanardi) diventata nel frattempo entusiasta cittadina del mondo, esterofila e poliglotta, a farsi carico di ‘aprire’ la ristretta mentalità meridionale del protagonista finendo però alla fine, dopo non pochi equivoci, sorprese e disavventure…col chiedere il trasferimento in Italia, quella stessa Italia che aveva lasciato volontariamente qualche tempo prima per potere fare carriera, avere successo e sposare mentalità e costumi decisamente più cosmopoliti e al passo con i tempi. Come dire che alla fine, persino all’inizio del nostro XXI secolo globalizzato e apparentemente senza confini, il richiamo delle origini e del sangue resta più forte di tutto e di tutti. Il che, nella sua estrema semplicità, appare un richiamo quantomai diretto alla presenza della realtà, e dei dati di realtà, che pure hanno le loro ragioni, i loro legami e le loro passioni, piacciano o meno allo spettatore più sofisticato di turno.

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