MARTIRI (di Marco Invernizzi)

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6fjkLa santità non fa rumore, ma esiste. Grazie a Dio. Mentre il mondo cattolico si divide e litiga, il Papa porta sugli altari sette persone, ognuna delle quali avrebbe una storia edificante da raccontare, se soltanto prestassimo attenzione alle cose importanti.

Domenica 16 ottobre, in piazza San Pietro, il Papa ha celebrato la Messa e presieduto il rito della canonizzazione dei Beati: il martire della Rivoluzione francese, fratello delle scuole cristiane, Salomone Leclercq (1745-1792), il bambino che abbiamo visto protagonista del film Cristiada, martire messicano in nome della regalità di Cristo, Giuseppe Sánchez del Río (1913-1928), il vescovo dei tabernacoli abbandonati,  sivigliano, innamorato dell’Eucarestia, Manuel González García (1877-1940), il fondatore degli Artigianelli, l’italiano Lodovico Pavoni (1784-1849), l’altro italiano, fondatore delle suore battistine, Alfonso Maria Fusco (1839-1910), il sacerdote argentino, apostolo degli esercizi ignaziani e dei poveri, Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero (1840-1914), e infine la monaca carmelitana, profonda studiosa e innamorata del grande mistero della nostra fede, Elisabetta della Santissima Trinità Catez (1880-1906).

Così come la storia ci viene spesso presentata come “storia dell’empietà“, per parafrasare il beato Rosmini, essa può anche essere raccontata attraverso le vicende di coloro che hanno detto sì a Dio, e così sono oggi riconosciuti come santi. La loro testimonianza non è soltanto qualcosa di personale, che riguarda esclusivamente le loro vite, ma è un’occasione per comprendere e giudicare le vicende storiche nelle quali sono stati coinvolti o che hanno vissuto da protagonisti.

Domenica 16 ottobre sono stati canonizzati un vescovo, tre sacerdoti, un religioso, una monaca, un laico: diversi gli stati di vita, diverse le culture originarie, essi sono il segno che chiunque, a qualsiasi popolo appartenga, se si affida a Dio può raggiungere la pienezza della propria umanità. È la globalizzazione della santità, come ha spiegato il cardinale Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.

Proviamo oggi ad approfondire le figure dei due martiri, dal momento che purtroppo il martirio è straordinariamente attuale ancora oggi.

José era un ragazzo di 15 anni, era diventato il portabandiera dei cristeros, gli insorti messicani in nome di Cristo Re, quando il Messico era caduto sotto la dittatura anticattolica del generale Calles. Aveva tenacemente voluto entrare nell’esercito degli insorti insieme a due suoi fratelli e viene ricordato per la sua affabilità e disponibilità nel servizio ai combattenti, nei mesi precedenti a quando venne ammesso direttamente ai combattimenti. Arrestato dall’esercito federale per avere offerto il proprio cavallo a un generale cristero che era rimasto appiedato, subirà incredibili torture, una vera e propria Passione, prima di essere ucciso, dopo avere rifiutato ripetutamente ogni compromesso per avere salva la vita.

Il suo martirio potrebbe aprire scenari enormi, anzitutto nel suo Messico, per rivedere la storia nazionale alla luce della riabilitazione dell’insurrezione dei cristeros, che costituisce uno snodo fondamentale della storia del Messico, qualcosa di simile alla lotta del Paese reale contro quello legale avvenuta in Italia durante l’Ottocento, a partire dalle insorgenze antigiacobine ma continuata anche successivamente con l’insorgenza del 18 aprile 1948 e con quella del 1994. Una insorgenza, quella dei cristeros, per di più armata, che pone il grande problema di fin dove ci si possa spingere davanti alla violenta negazione della libertà religiosa.

(Chi non avesse la possibilità di leggere libri sul tema, si legga su Cristianità l’ottimo articolo di Oscar Sanguinetti, José Sanchez del Rio: un martire della libertà religiosa, n. 380/2016).

L’altro martire canonizzato domenica, Salomone Leclercq, è una delle tante vittime della madre di tutte le rivoluzioni, quella francese. Fratello delle scuole cristiane, si dedica per una vita all’educazione dei giovani, fino a quando scoppia la Rivoluzione che gli chiede, come a tutti i religiosi, di accettare con giuramento la costituzione civile del clero (anche se lui è un religioso non sacerdote). Morirà decapitato a colpi di spada, il 2 settembre 1792, insieme a molti altri sacerdoti, vescovi e religiosi, imprigionati per lo stesso motivo.

Anche qui facciamo fatica a renderci conto della portata della canonizzazione di un martire del 1789. Perché se la storia può essere letta attraverso le vite dei santi e dei martiri, questi gesti pubblici non possono non aiutare una riflessione: perché in Francia alla fine del Settecento e in Messico oltre cento anni dopo, ma con le stesse motivazioni “giacobine”, si manifesta tanto odio contro i cattolici, e ancora perché il rifiuto di permettere quel diritto umano fondamentale che è la libertà di professare pubblicamente la propria religione?

Se fossimo meno coinvolti nei nostri rancori, nelle nostre inimicizie, nei nostri ideologismi di “parrocchia” e più attenti ai gesti del Papa, forse riusciremmo a riconoscere nella scelta di canonizzare, ora, questi martiri, l’indicazione a individuare nella causa della loro uccisione uno dei mali che hanno generato i mostri della modernità.

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