ALLE ORIGINI DEI GULAG SOVIETICI E DEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO NAZISTI (Corriere del Giorno, 17 luglio 2010, pag. 24)

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il-laboratorio-del-gulag_bigTra i monasteri e gli eremi delle Solovki – l’arcipelago del Mar Bianco, nell’estrema parte nord-occidentale della Russia, al largo di Archangel’sk – fu creato il primo campo di concentramento sovietico, il primo laboratorio di quella rete di 476 campi divenuti tristemente famosi con il nome di «Gulag». A partire dal 1923 e fino al 1939 i comunisti russi vi deportarono i «nemici» della rivoluzione: aristocratici, preti, «borghesi», contadini, operai, intellettuali, funzionari, artisti, quadri del partito caduti in disgrazia.

“Inventato” da Trockij, adottato da Lenin e perfezionato da Stalin, il campo delle Solovki arrivò a ospitare 70.000 detenuti e nel solo 1937 furono eseguite 2000 fucilazioni. Il modello delle Solovki (e, più in generale, il Gulag) influenzò profondamente la costruzione della società sovietica: si calcola ch e in qu ei decenni un adulto su sette trascorse almeno alcuni mesi in un campo di lavoro e rieducazione. Per ogni cittadino l’angoscia della delazione e dell’internamento era una costante ineliminabile. L’esperienza penitenziaria serviva a distruggere le strutture dell’epoca imperiale, a livellare le classi sociali e, soprattutto durante lo sforzo bellico, a fornire la manodopera necessaria all’industrializzazione del paese. L’«armata del lavoro» teorizzata da Trockij nel 1918, che avrebbe dovuto fare le fortune dell’Unione Sovietica, non consistette in altro che in migliaia e migliaia di esseri umani ridotti in schiavitù, mutilati e uccisi (anche mediante l’uso, sempre negato dalle autorità, di armi batteriologiche).

Tali informazioni sono riportate e ampiamente documentate nel recente libro della storica Francine-Dominique Liechtenhan: “ Il laboratorio del gulag. Le origini del sistema concentrazionario sovietico” (Lindau, Torino, 2009, pagg. 320).

Costruito sulla scorta di una vasta documentazione originale, resa in gran parte accessibile dall’apertura degli archivi dell’ex Unione Sovietica e con l’ausilio di molte testimonianze inedite di prigionieri sopravvissuti e dei loro familiari, questo libro  costituisce un contributo di eccezionale valore alla conoscenza della verità e un omaggio alla memoria delle vittime del com unismo, ancora oggi dolorosamente neglette, in Russia come in Occidente.

Il saggio di Francine-Dominique Liechtenhan mostra come già Trockij e Lenin (e non il solo Stalin!) furono all’origine del sistema dei lager sovietici che tanti morti innocenti hanno prodotto (le stime si attestano fra i 3 e gli 11 milioni di vittime). Inoltre il sistema concentrazionario sovietico precedette e fu di modello a quello (15 anni più tardi) nazista. Una sorte tremenda spettava alle donne, costrette a subire violenze dagli aguzzini e talora vendute come vere schiave in Medio Oriente.

Francine-Dominique Liechtenhan è nata nel 1956 a Basilea e si è laureata in Storia moderna e contemporanea e in Filologia russa a Parigi, città nella quale risiede e dove insegna all’università della Sorbona e all’Institut Catholique.

Il giornalista Andrea Morigi, a proposito di questo libro tanto importante ai fini della ricostruzione di quello che fu l’“arcipelago gulag”, così ha scritto su «Libero» del 29 ottobre 2009: «Nella logica del marxismo-leninismo, l’unica ragion d’essere di un monastero è la sua riconversione in campo di concentramento. Lo pretendono il mito del progresso e la volontà di farla finita con la contro-rivoluzione. Nulla come la vita contemplativa può essere più distante dalla filosofia materialistica della prassi. È Lev Trockij, già dal 1918, a individuare, nella zona che fino ad allora ospitava santuari e monaci ortodossi, il laboratorio in cui si sperimenterà la repressione totalitaria. Per la mentalità comunista, il concetto più corrispondente alla penitenza cristiana è la persecuzione. Basta sostituire Dio con il Partito e il gioco è fatto. Chi prima si affidava alla misericordia divina, dipende ora dai tribunali del popolo.»

 

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