AGRICOLTURA E TECNOLOGIA LA CHIAVE CONTRO LA FAME

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Parlando in piazza San Pietro prima dell’Angelus del 14 novembre 2010, Benedetto XVI richiamò l’attenzione sull’attuale crisi economica, definita “seria” e bisognosa di un nuovo modello di sviluppo globale.

A tal proposito, Benedetto XVI sottolineò la necessità di rilanciare il settore agricolo, ormai abbandonato a se stesso: “E’ importante, decisivo il rilancio strategico dell’agricoltura in questo momento di crisi economica….”.

Ricordando poi la Giornata del Ringraziamento promossa dalla Cei, il Santo Padre sottolineò anche come “il processo di industrializzazione talvolta ha messo in ombra il settore agricolo, che, pur traendo a sua volta beneficio dalle conoscenze e dalle tecniche moderne, ha comunque perso di importanza, con notevoli conseguenze anche sul piano culturale. Mi pare il momento per un richiamo a rivalutare l’agricoltura non in senso nostalgico, ma come risorsa indispensabile per il futuro”.

Il Papa infine non mancò di evidenziare come “non pochi giovani hanno già scelto questa strada, anche diversi laureati tornano a dedicarsi all’impresa agricola, sentendo di rispondere così non solo ad un bisogno personale e familiare, ma anche ad un segno dei tempi, ad una sensibilità concreta per il bene comune. E preghiamo la Vergine Maria perché queste riflessioni possano servire da stimolo alla comunità internazionale, mentre eleviamo a Dio il nostro ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro umano.”

Per Benedetto XVI dunque il ritorno all’agricoltura è un segno dei tempi, che risponde “ad una sensibilità concreta per il bene comune”.

In questa riflessione, che sembra esaltare il nesso etimologico esistente fra il termine “coltura” e quelli di “culto” e di “cultura”, il Papa non disdegna il richiamo ai benefici derivanti dalle conoscenze e dalle tecniche moderne.

E’ infatti grazie all’enorme progresso tecnologico realizzatosi nel XX secolo e noto come rivoluzione verde che l’agricoltura ha potuto arrivare a produrre cibo e beni di consumo per un’umanità passata dagli 1.5 miliardi di individui del 1900 ai 6.5 miliardi del 2000. Ciò è stato reso possibile dal progresso nella genetica (nuove varietà più produttive e di qualità assi migliore rispetto alle precedenti) e nelle agrotecniche (lavorazione del terreno, sistemi di irrigazione, chimica per la difesa dai parassiti e dalle malerbe, fertilizzanti chimici, sistemi di conservazione delle derrate, ecc.).

Da ciò deriva – scrive Luigi Mariani sulla “bussolaquotidiana.it” del 29 giugno 2011 – che “…se dobbiamo darci un obiettivo globale per i prossimi 30 – 40 anni lo stesso non può essere che quello di diffondere all’intera umanità quel benessere che è oggi appannaggio delle aree più fortunate del pianeta (Europa in primis). Ad un tale obiettivo di benessere si oppone il mito della catastrofe incombente di cui oggi si fa portatore l’ecologismo più becero. Contro una tale visione occorre un progetto anzitutto culturale che miri a creare prospettive di sviluppo per tutta l’umanità, cogliendo e valorizzando quanto di positivo sussiste nel mondo d’oggi.”.

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