ALLE RADICI DELLA CRISI: BANCHE E BANCHIERI D’AZZARDO

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C’è una buona notizia in libreria per quanti cominciano a essere stufi di tirare la cinghia, fra nuovi balzelli, aumento di tariffe e costo improponibile della benzina!

Leggere il nuovo libro di Giulio Tremonti (Uscita di sicurezza, Rizzoli, Milano, 2012, pagg. 260) è come scoprire l’acqua calda per il buon senso e l’ovvietà delle argomentazioni che spiegano al lettore le ragioni che hanno portato l’Occidente (Stati Uniti ed Europa in primis) al collasso economico e sociale.

Peccato, però, che al momento nessuno sembra voler prendere in considerazione le analisi dell’ex Ministro dell’economia.

Giulio Tremonti, con la competenza dell’economista e la cultura politica che gli sono proprie, sembra allora ricordare la figura di quel bambino che nella favola grida: “Il Re è nudo!”. Nel nostro caso il Re è l’alta finanza internazionale, che impunemente ha fatto – e continua a fare – il bello e il cattivo tempo, senza che nessuno si accinga a reagire.

Nella sua ultima fatica letteraria Tremonti ricorda, innanzitutto, il processo storico, prima lentissimo e poi in accelerazione progressiva, quindi esponenziale, che ha prima reso possibile e poi prodotto un drammatico effetto di astrazione-sostituzione: all’origine vi fu il passaggio dal materiale della cosa barattata al metallo delle monete usate per gli scambi; poi il passaggio dalla carta delle banconote alla plastica delle carte di credito e, infine, il passaggio dalla plastica al segno informatico, che si fa valore in sé e per sé e senza più limiti  (pag. 53).

Il mero segno informatico, infatti, oggi fa muovere interi capitali: sempre più smaterializza e astrae la ricchezza. E’ un fenomeno che ben rappresenta la transizione – avvenuta nell’ultimo ventennio – dall’economia reale a quella finanziaria: la massa della finanza “…diventa pari a quella dell’economia reale nel triennio 1999-2001, per poi crescere senza più limiti.” (pag. 52).

Questa massa finanziaria che cresce esponenzialmente diventa indipendente tanto dalle leggi dell’economia reale che da quelle della democrazia. Così, come succedeva al tempo dei “pronunciamenti” sudamericani degli anni ’70 ad opera dei militari, oggi “…è la finanza a farlo, il pronunciamento, imponendo il proprio governo, fatto quasi sempre da gente con la sua stessa uniforme, da tecnocrati apostoli cultori delle loro utopie, convinti ancora del dogma monetarista; ingegneri applicati all’economia, come era nel Politburo (sovietico, n.d.r.) prima del crollo; replicanti totalitaristi alla Saint-Simon.” (pag. 118).

Se per contrastare la crisi in tanti si rivolgono a falsi obiettivi, o si prestano a farlo, nessuno o pochi ancora si rivolgono al vero colpevole, e cioè alla finanza. La politica può uscire da questo stallo, da questa fase di colpevole abulia e complicità, e rimettersi al servizio dei popoli – scrive Tremonti – solo se ha la forza di cominciare con una prima mossa concreta e decisiva, la forza di mettersi sopra la finanza (pag. 159). Non a caso nel suo libro Tremonti ricorda come già due secoli fa fu detto: “Sinceramente sono convinto che le potenze bancarie siano più pericolose che eserciti in campo” (Thomas Jefferson, 1816).

Oggi è più o meno così ed è per questo che è arrivato il tempo di mettere lo Stato sopra la finanza e la finanza sotto lo Stato; è davvero maturato il tempo per fissare un limite allo strapotere della finanza. Farlo, finalmente, vuole dire porre fine a un ciclo ventennale di prevalenza contro natura dell’interesse particolare sull’interesse generale, vuol dire “cacciare i mercanti dal Tempio”, vincere la malia di potere ancora esercitata dai santoni del denaro. Farlo vuol dire che è solo lo Stato ad emettere la moneta nel nome del popolo. Vuole dire che il credito serve per lo sviluppo e non per la speculazione. Vuole dire separare il grano dal loglio e dalla zizzania, il produttivo dallo speculativo, come del resto è stato per secoli (pag. 168).

E’ arrivato dunque il tempo per riequilibrare il potere tra la finanza e gli Stati, tra la finanza, costituita nei suoi interessi, e la politica deputata a rappresentare l’interesse generale della collettività. Anche nella peggiore delle ipotesi che si possono fare sulla politica, è infatti sempre vero che, per quanto sia o possa sembrare discutibile, una politica discutibile è comunque meglio di una finanza invincibile. E’ stato del resto detto che la democrazia può essere il peggiore dei sistemi, ma non se ne conoscono di migliori (Winston Churchill). Ebbene, neppure l’autocrazia finanziaria è migliore della democrazia! Se la cattiva politica genera corruzione – chiosa Tremonti – la cattiva finanza genera qualcosa di ancora peggiore: la distruzione. E non è detto che “…l’assenza programmata totale della politica porti alla salvezza.” (pag. 183).

La crisi europea, poi, è emblematica di tutto ciò. Perché, a differenza degli altri Stati-nazione del mondo, gli Stati-nazione europei, passando attraverso un intenso, nuovo e tipicamente europeo processo di devoluzione verso l’alto, hanno ceduto alle istituzioni europee, alla Commissione europea, ai Consigli europei, alla Corte europea, alla Banca centrale europea ecc. quote di competenze e di poteri che invece erano storicamente oggetto di azione e di controllo democratico nazionale. Le istituzioni europee, dal canto loro, non sono ancora tutte sempre e precisamente definibili in base ai parametri, ai criteri, ai modelli, ai principi storici tipici della democrazia classica: “Diciamo qui ottimisticamente che la “cifra democratica” propria di tutte queste istituzioni pare ancora piuttosto in experimentum, piuttosto in divenire...“ (pag. 116).

Mentre dunque l’Europa langue, affamata anche di democrazia, chi dispone di liquidità (Cina in primis) fa incetta dei pochi pezzi di economia reale ancora rimasti. E dove andremo a finire? Non c’è, ovviamente un’unica e facile ricetta; ma l’ex Ministro dell’Economia del governo Berlusconi propone quanto meno una “Uscita di sicurezza”, che poi è il titolo del suo libro.

Si tratta allora di rendere meno sistemiche, o non sistemiche, le banche che ancora sono e/o si dicono sistemiche: ridurle di dimensione, scinderle, depotenziarle perché è arrivato il tempo della separazione tra attività produttiva e attività speculativa. Il tempo della separazione tra le banche che raccolgono risparmi e capitali e li investono a proprio rischio nelle grandi industrie, nelle piccole imprese, per le famiglie, per le comunità, per i giovani e invece le banche che giocano d’azzardo, privatizzano le vincite, socializzano le perdite. Così producendo, tra l’altro, un risultato opposto a quello di ogni pur discutibile forma di efficienza capitalistica.

Le banche devono dunque tornare ad essere, e a essere considerate e trattate, come infrastrutture al servizio dell’economia e della società. E non viceversa.  Inoltre i loro attivi e passivi sani devono essere separati da quelli tossici, che vanno segregati. E’ chiaro in ogni caso che l’enorme massa finanziaria tossica, che è ancora in circolazione, deve essere accollata agli speculatori o cancellata. Chi ha giocato d’azzardo non può impunemente alzarsi dal tavolo da gioco, per farci sedere qualcun altro a pagare la sua perdita. E’ a chi ha perso la sua scommessa che si deve imporre di pagare! (pag. 169).

Al tempo del New Deal – ricorda Tremonti – e cioè a partire dal 1933, prima furono introdotte nuove regole e fu riorganizzato il sistema bancario e finanziario, isolandolo dall’attività parassitaria, poi il denaro pubblico fu usato per investimenti pubblici, in infrastrutture, per salvare le famiglie e le industrie. In sintesi, ora come allora, è necessario erigere una barriera antincendio, un firewall, distinguere tra banche ordinarie e banche d’azzardo, in modo che le banche ordinarie non possano più prestare i soldi dei correntisti alle banche d’azzardo o comprarne i prodotti strutturati o derivati. Si tratterebbe, insomma, di un ritorno alla regolamentazione, a leggi già esistenti negli anni ’30.

A partire dal 2008, invece, è stato fatto l’opposto: il denaro pubblico è stato prevalentemente usato per salvare le banche e i banchieri; non c’è stato alcun serio vasto progetto di investimento pubblico per l’economia industriale, fisica e manifatturiera, per le infrastrutture, per l’economia reale.

Per rilanciare tali investimenti pubblici europei, prima che sia troppo tardi, potrebbero rivelarsi utili – dice Tremonti – i tanto discussi “eurobond”, strumento d’investimento confacente ad un tipo di economia mista (né solo liberista-monetarista né solo statalista). Questi comporterebbero il non piccolo vantaggio di stabilizzare e normalizzare le emissioni di titoli pubblici, in modo da non sostenere un costo addizionale causato dalla speculazione e dalla sfiducia riservate dai mercati all’Europa e a taluni Paesi dell’Europa in particolare. Contro le speculazioni, potrebbero essere un sicuro volano per rilanciare l’economia reale. E’ di quella che abbiamo bisogno dopo il ventennio “maledetto”, quello, scrive Tremonti, che ci ha drogato e cullato con l’idea del benessere progressivo e gratuito donatoci dalla finanza. Un mondo in cui l’impossibile o l’impensabile diventava possibile e reale e in cui il superfluo contava più del necessario…

Questo libro fornisce dunque anche importanti indicazioni etiche, per il ritorno a un’economia e a uno stile di vita più semplici e sobri, e in definitiva aderenti alla realtà.

 

 

 

 

 

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