ATREJU: CONFRONTO SULL’EUROPA TRA VENEZIANI E TREMONTI (di Omar Ebrahime e David Taglieri)

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radici-cristianeAnche quest’anno, come ormai da consolidata tradizione romana di fine-estate, si è svolta presso il Parco del Celio la consueta kermesse della Destra politica italiana, “Atreju”, dal nome dell’omonimo personaggio protagonista del celebre romanzo di Michael Ende, La storia infinita. Il programma si è confermato anche questa volta di ampio respiro con dibattiti aperti (presenti esponenti di differenti, e anche opposti, schieramenti in Parlamento) che andavano dall’economia, all’educazione, alla cultura. L’organizzazione della manifestazione però, nel frattempo, parallelamente alle scelte personali della storica coordinatrice dell’evento, Giorgia Meloni, è passata nelle mani del neo-partito Fratelli d’Italia. Principale novità di questa edizione è stata la formula dei dibattiti che hanno ricalcato lo svolgimento classico di un processo in tribunale. Dopo la presentazione dei contendenti e dell’oggetto della discordia, una parte interpretava così il ruolo dell’accusa mentre l’altra esponeva le ragioni della difesa lasciando il giudizio finale al pubblico presente. Una delle contese più attese era proprio il “Processo all’Europa” che avrebbe visto di fronte l’intellettuale di riferimento della manifestazione, lo scrittore Marcello Veneziani, e l’ex Ministro dell’Economia (attualmente eletto Senatore per la Lega Nord) Giulio Tremonti. Il confronto non ha deluso le attese e – considerando anche la prossima tornata elettorale per il rinnovo dell’Europarlamento, che cade a breve nel 2014 – riportato l’attenzione del pubblico sul tipo di Europa da costruire, o meno, da qui al futuro.

Ad esordire é stato il giornalista pugliese che ha subito specificato, a scanso di possibili equivoci, che quella da mettere sotto processo non è l’Europa in quanto tale (nè come storia del continente, nè, tantomeno, come luogo culturale e politico, prima che geografico) ma la versione istituzionalmente codificata e che si vorrebbe (ma non è) rappresentativa dei singoli popoli rispondente al nome di ‘Unione Europea’. Ecco, questo tipo di Europa, “é esattamente al di sotto delle aspettative rispetto a quella che volevamo” in quanto ha mancato clamorosamente le promesse di sicurezza e benessere che pure aveva a lungo diffuso. Soprattutto, essendo un organismo politico-diplomatico, nato con l’obiettivo di unire le strategie nazionali, l’Unione finora non è riuscita ad incidere, nè ad avere mai una posizione chiara su temi centrali quali quello dell’immigrazione verso gli Stati membri o sul governo del Mediterraneo. Di fatto, gli Stati nazionali, sono stati lasciati al loro destino, soprattutto sul primo aspetto. Negli ultimi anni, poi, é emersa una leadership incontrastata da parte della Francia e della Germania che, di comune accordo, e rafforzate anche da una relativa stabilità economica interna, hanno praticamente imposto il loro punto di vista a tutta l’Europa. E proprio questa è l’accusa principale che Veneziani ha rivolto all’Unione: alla fine è diventata un’istituzione essenzialmente burocratica in cui gli aspetti contabili in un modo o nell’altro prevalgono sempre su quelli reali. A questo proposito lo scrittore ha fatto notare come oramai nel linguaggio giornalistico (che poi finisce per influenzare la nostra realtà quotidiana) il termine “sovranità” sia irrimediabilmente accostato al sostantivo “debito” e non più ai popoli e alla politica in quanto tale. Si parla sempre del nostro “debito sovrano”, mai del “popolo sovrano” o della “Nazione italiana sovrana”, quasi che esistesse solo quella di sovranità: fatta dei soldi da restituire a Bruxelles. Ed in questo contesto esiste poi un ulteriore paradosso: le due centrali economiche dell’Europa, ovvero la Svizzera, che ospita un’intera filiera di banche e istituti di credito sul suo territorio e Londra, la città culla della finanza moderna e della borsa tuttora più importante, sono in parte fuori dall’Unione e comunque ripudiano l’euro. Insomma l’arringa finale è che l’Unione per come si è configurata fino ad oggi ha creato una sorta di “Europa S.p.a.” più che una Europa dei popoli: non a caso quando si trattò di scrivere la sua carta d’identità, richiamando le proprie radici religiose (un fatto oggettivo) e il patrimonio umanistico classico del Continente facendo riferimento alla Cristianità uscita da Gerusalemme e al mondo greco-romano sul quale questa sorse, i nuovi Padri costituenti evitarono ogni riferimento impegnativo, manifestando così un’idea debole e piuttosto indefinita del loro stesso progetto. In definitiva, per Veneziani, non si sono resi conto di che cosa andavano a rappresentare e non hanno mai avuto un’idea chiara degli obiettivi da raggiungere che non fossero strettamente legati a una logica economico-finanziaria: se si vuole andare avanti, occorre invertire decisamente la rotta.

Da parte sua Giulio Tremonti, che queste dinamiche le conosce bene per averle seguite personalmente quando ha avuto responsabilità di Governo, ha condiviso in parte le accuse ma ha rigettato decisamente ogni prospettiva di uscita dall’Unione. Se è vero, come indicano i dati dei sondaggi dell’Eurobarometro, che il consenso alle politiche dell’Unione è in caduta libera in quasi tutti gli Stati-membri (a parte la Germania), anche per i motivi addotti da Veneziani, questo non significa che certe scelte non si possano contestare, o almeno correggere. Purché, però, si resti evidentemente all’interno dell’Unione. Quello che è successo, per il senatore, è che il sogno astratto dell’Europa unita si è infranto su una realtà che si è dimostrata molto più complessa dei trattati scritti a tavolino. I quali, mancano, non a caso, della parola “crisi”. Come se si pensasse di avere risolto tutti i problemi con la semplice nascita dell’Unione e con una moneta unica, indipendentemente dall’andamento dei grandi processi geopolitici internazionali, dei fenomeni migratori e, per l’appunto, delle crisi sociali o occupazionali che di volta in volta si dovessero presentare. Un problema, poi, è stato il passaggio rapidissimo dal G7 al G20: se prima tutto girava intorno a un sistema di codici largamente condiviso (lingua di riferimento era l’inglese, moneta di riferimento il dollaro, come sistema politico c’era la democrazia occidentale) ora ci si trova di fronte a lingue ed economie emergenti (si pensi solo alla Cina, alla Russia o all’India) e anche modelli di società molto diversi (nessuno di questi tre Paesi, per esempio, è classificabile come democratico). In questo contesto la globalizzazione, per sua stessa natura, porta a rimescolare continuamente Nord e Sud del mondo scambiando centri e periferie senza soluzione di continuità. Agire dall’alto, con una semplice manovra di Governo, in questo senso, diventa molto più difficile rispetto a soltanto pochi anni fa. Dalla crisi per Tremonti si può comunque uscire ritrovando il senso delle ragioni iniziali del progetto europeo e soprattutto ridando il primato all’economia reale anzichè alla finanza virtuale: nel futuro egli vede comunque la realizzazione compiuta degli “Stati Uniti d’Europa”. A questo punto Veneziani ha replicato a sua volta accettando alcune osservazioni ma insistendo sul primato dei popoli e delle comunità rispetto agli interessi particolari dei tecnici della politica e dell’economia oggi chiaramente prevalenti. Quindi, ha accusato le alleanze dei Paesi occidentali in Medioriente (è stata questa la parte più applaudita dal pubblico) dove anche noi italiani abbiamo finito per foraggiare l’ascesa di movimenti integralisti islamici (ieri in Egitto, oggi in Siria) che hanno poi preso il sopravvento, con tutta la loro carica di odio verso la civiltà cristiana. Tremonti qui è sembrato concordare affermando che a suo avviso la democrazia è un bene troppo complesso ed importante per essere esportato ovunque come si fa con una merce, dicendosi quindi diffidente rispetto alla semplice riproposizione acritica di sistemi sociali occidentali in aree sostanzialmente da sempre estranee a logiche democratiche e di mercato.


 

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