CATECHESI CATTOLICA: L’ABBANDONO DEI “NOVISSIMI”

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san_michele2A monte del peccato dell’uomo proietta la sua ombra tenebrosa sulla storia un peccato ancora più imponente, misterioso e terribile: il peccato degli angeli. E’ a causa di questo solo peccato che nasce la realtà tremenda dell’inferno, il fuoco eterno, “preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt. 25,41; 2 Pt, 2,4).

L’inferno è la chiave per comprendere il peccato, ne è la “cifra”. Non a caso i santi vi riflettevano spesso e, in casi non rarissimi, hanno ricevuto da Dio la grazia di farne in qualche modo esperienza in questa vita, come nel caso di Santa Teresa d’Avila o dei past orelli di Fatima. Santa Teresa d’Avila, che pure sperimentò grazie mistiche elevatissime d’unione con Dio, considerò la visione dell’inferno come “una delle più grandi grazie che Dio mi abbia fatto”.

L’inferno è la “cifra” del peccato soprattutto perché ne svela la natura profonda, quella di essere irrimediabile “separazione da Dio”.

Di solito nelle omelie, nelle prediche, nelle catechesi è piuttosto difficile che se ne faccia un qualch e ri ferimento, come se sorvolarvi facesse parte di un bon ton eccl esiastico e teologicamente corretto. Non è questo il luogo e lo spazio per gli eventuali a ppr ofondimenti teologici; ci limitiamo a dire che da sempre l’insegnamento sull’inferno ha costituito, e costituisce, parte integrante del catechismo (cfr.: Catechismo della Chiesa cattolica, paragrafo 1033).

In effetti in tempi non lontani inferno, purgatorio, paradiso, morte e giudizio erano chiamati i “novissimi” (le cose ultime) e rientravano normalmente fra i temi di predicazione.

Si potranno ricordare (come, del resto, per tutte i modi umani di presentare le cose divine!) abusi o eccessi, ma c’è da chiedersi se sia davvero giustificato l’odierno oblio…

Ecco cosa pensava Giovanni Paolo II delle omelie che avevano i novissimi quale punto di riferimento: “Si può dire che tali prediche, perfettamente corrispondenti al contenuto della Rivelazione nell’Antico e nel Nuovo Testamento, penetravano profondamente nel mondo intimo dell’uomo, scuotevano la sua coscienza, lo gettavano in ginocchio, lo conducevano alla grata del confessionale, avevano una loro profonda azione salvifica…Ci si può effettivamente domandare se, senza questo messaggio, la Chiesa sarebbe ancora capace di destare eroismo, di generare santi.” (Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, 1994, pp. 197-198).

Lo spettacolo spaventoso dell’Uomo che pende dalla Croce è – insieme ed indissolubilmente – l’immagine eloquente della gravità del peccato e della infinita misericordia di Dio, che incarnandosi e risorgendo ci offre la straordinaria opportunità di salvarci dalla nostra ostinazione.

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