IL DESERTO IN NOI E IL DESERTO FUORI (di David Taglieri)

783

In Italia ma anche nel resto del mondo si tifa troppo, è tutto irrimediabilmente ridotto ad evento mediatico pro o contro, senza effettuare analisi critiche e produttive, che servano ad intrapendere un cambiamento di mentalità e una cons eguente azione ragionata. L’immigrazione ad esempio: chi sconfina nel razzismo più volgare e chi cela la propria indifferenza con un buonismo di maniera del laissez faire.

Fra questi estremi poco convincenti esiste la misura dell’intelligenza.

Certi eventi analizzati attraverso la lente di ingrandimento della storia rivelano punti di vista che fanno riconsiderare accadimenti nefasti in una dimensione ulteriore. Accade per i rapporti economici, nelle relazioni umane ed in maniera diffusa nella geopolitica; il termine civiltà ad esempio era stato accantonato e rinchiuso nella bottega dei pensieri ad alta intensità fino a quando i fondamentalisti islamici non l’hanno messa a dura prova. Barbaro non va associato all’immigrato sic et sempliciter, ma è minimo comun denominatore di chi vuole sradicare il passato.

“Contro i Barbari” di Marcello Veneziani, (Mondadori 2006,pagg 162) parte da questa constatazione per dimostrare come quella civiltà che sta tentando di riscoprire se stessa, non abbia un solo nemico, che le punta diritto, ma due avversari ostinati e combattivi: i barbari di fuori, talora irrispettosi per il nostro retroterra culturale e per le tradizioni – i fondamentalisti appunto – e i barbari interni, che elevano il piacere a Bene decadente e nichilista, distruttore di esperienze millenarie che vanno dalla civiltà greco-romana prima a quella ebraico-cristiana poi. 

Due forze centrifughe, tra un barbaro che vorrebbe annientarci e l’altro determinare una morte ben più ingloriosa, lo scioglimento nel nulla (e poi chi lo sa se il prossimo futuro sarà convivenza fra popoli omologati o scontro fra razze e barbarie).

La mission del saggio è sostenere la necessità di un patriottismo civile, sempre figlio della Tradizione, una Tradizione Occidentale ma non anacronistica, che sappia manovrare le lezioni del passato e tradurle con gli strumenti della contemporaneità.

Serve etica civile, e non empirismo civilizzato fatto solo di mezzi e tecnica, con gli obiettivi del benessere low cost di breve periodo.

Ritorna improvvisamente la distinzione fra un noi ed un loro, e come sempre dall’antagonismo prende forma e sostanza la civiltà. 

Può una civiltà che trascura il suo perimetro visibile ed anche invisibile, le sue forme, la sua essenza, la sua cultura dichiarare a testa alta e spalle dritte il suo essere civiltà? E’ possibile reggere l’urto demografico ideologico, terroristico di larga parte del pianeta ?

Come l’antropologia insegna, a tutte le età e per ogni situazione i momenti di tensione, accompagnati da nervosismo, emotività e ragionamento, possono caratterizzare un moto di reazione più che positivo.

E dunque in questa ottica la stessa civiltà sotto minaccia può tirare fuori risorse che un tempo credeva spente. Chiosa Veneziani: chi trova un nemico trova un tesoro.

Decade la Civiltà quando le aspettative trasferite nel privato attengono escluisvamente alla sfera individuale e allo star bene.

Centrale nel libro è il rapporto fra popolazione ed immigrati. L’obiettivo auspicabile dovrebbe essere quello di valorizzare la propria identità culturale e renderla compatibile con l’ambiente circostante. Ma la realtà è altra, perchè stiamo incontrando gli immigrati in una terra di nessuno, una sorta di terra di mezzo nella quale noi abbiamo perso la nostra civiltà e loro l’identità; in questo spaesamento ci incontriamo solo come contemporanei e al contempo consumatori.

Alcuni immigrati sono portatori di valori che dovremmo apprezzare, stimare, promuovere anche all’interno della nostra società, quali la solidarietà comunitaria e tradizionale, il rispetto per la famiglia.

Da loro dovremmo imparare la voglia di vivere e la fame di vita e di cibo, noi che abbiamo gola di vite spericolate e di eccesso, di pancia e vitalismo.

Sono popoli giovani, controaltare dei nostri pochi adolescenti in gran parte annoiati, con soddisfacenti capacità tattili computeristiche, con file da condividere, ed esperienze culturali da debellare.

Loro provengono da un deserto, noi ce lo abbiamo dentro.

La Barbarie è l’ombra della civiltà e paradossalmente la tecnica ha amplificato la possibilità di vivere bene e far il male.

Quando gli errori sono esauriti, di fronte come ultimo compagno siede il nulla, scrive Brecht; la società occidentale a tratti è svaccata, svogliata con fini di breve raggio, frenesie individuali e private che si fanno pubbliche , elevate a modello… 

Più crescono le garanzie di durata e vita comoda, più ci spaventano i Tartari, indecifrabili, che da un momento all’altro possono minacciare il nostro benessere, od insiunarsi fra noi, fra un aperitivo e un dessert.

Alcuni di loro detestano il feticismo dei grattacieli ma non le nostre cattedrali; altri dimostrano un Fondamentalismo insopportabile ed intollerante; per noi il meglio è la vita, per loro quello che viene dopo.

Il Deserto cresce laddove la barbarie si alimenta di fanatismo, ovvero dove si intende sacrificare tutto e tutti per la violenza del dogma.

Il contatto con alcune forme di immigrazione – specie quelle originarie dell’Africa meridionale – ci insegna che vi è civiltà laddove visioni del mondo e pratiche condivise riescono ad addomesticare la morte il tempo la solitudine, il dolore.

In certi luoghi europei vige l’eccesso di globalità e modernità con uomini e donne ridotti a meri strumenti di campagne pubblicitarie, con il culto delle macchine, delle carte di credito; è lì, di fronte alle vetrine del piacere, che Veneziani avverte l’indecente e trasgressiva voglia di purezza e famiglia, di luce del sole, di vita sana e sacra.

Oggi il sesso – aspetto importante nella figura umana – non viene esaltato, ma piuttosto offeso, dileggiato, imbarbarito.

Aveva ragione Chesterton, la religione del futuro si fonderà su una forma più sottile di umorismo, una risata sconfiggerà il porco che è in noi, anagramma bestiale del corpo.

Diceva Simone Weil che chi è sradicato  sradica, e questo avviene dall’ interno e dall’esterno, anche noi stessi a confronto con il nostro io sviliamo energie, passioni e risorse, e senza volerlo o incosciamente compiamo autolesionismo di civiltà.

Perché certi forestieri – come si diceva un tempo – fuggono dal deserto, noi quel Deserto lo abbiamo dentro.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui