INTERVISTA A SALVATORE MARTINES, PRESIDENTE NAZIONALE DEL “RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO” (L’Ora del Salento, 31 maggio 2008, pag. 9)

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martinez.jpg D. Dottor Martines, i cattolici periodicamente vengono accusati, specie quando sono in gioco le grandi scelte etiche, di ingerenza nel sociale, di confondere volutamente sfera pubblica e sfera privata. Cosa ne pensa ?

R. Dinanzi a questa tesi della contrapposizione noi siamo dell’avviso che la strada giusta è quella dell’integrazione, del dialogo, che guarda alla fede come ad una risorsa per il nostro tempo, più che come un problema che vada eliminato. La storia ha insegnato in ogni secolo e in ogni civiltà che l’elemento religioso è imprescindibile nello statuto umano ed è imprescindibile in tutti quelli che sono i protocolli sociali ed economici che fondano una democrazia; che rendono ordinata e pacifica la convivenza fra gli uomini. Pertanto la fede è sempre stata in ogni epoca fonte di civilizzazione, fonte di democratizzazione, di rimozione di tutte quelle che sono le ingiustizie, le solitudini, le derive individualistiche. La storia ha conosciuto il valore della laicità della nostra fede. Non lo racconta solo l’architettura delle nostre città; non lo raccontano soltanto i sistemi politici, democratici, giudiziari che sono improntati a quello che è sostanzialmente l’ethos che deriva dalle religioni. Pertanto questa idea di sbarazzarsi di Dio, di cancellare non soltanto dalla storia, ma ancor di più dal cuore dell’uomo, la presenza di Dio, è un tentativo che la storia ha dimostrato essere assolutamente inadeguato. Pertanto, noi non ci contrapponiamo a questa visione del mondo, ma ci sforziamo di mostrare il volto positivo, il volto includente che la fede ha sempre avuto modo di dimostrare: include l’uomo, non lo esclude. Include le migliori risorse dell’uomo, non le discrimina in forza del suo credo, in forza della sua pretesa di includere il Cielo sulla terra.

D. Quale compito per i laici di oggi, tanto nella società civile che nella Chiesa?

R. Intanto bisogna ricordarsi che la parola “cristiani” è una parola impegnativa. Tanto che si dica “chierici cristiani” che “laici cristiani” nella missione non c’è distinzione. Quanto all’identità, allo “status”, evidentemente il sacerdote differisce dal laico; ma la laicità che siamo chiamati a vivere è quella di Cristo e pertanto ci accomuna nell’impegno per la missione. Ed è una grande sfida in questo nostro tempo, perché i margini di testimonianza si stanno sempre più assottigliando e si vorrebbero drammaticamente confinare nella sfera privata. Noi invece vogliamo dare rilievo, valenza pubblica alla nostra fede.

D. Nel corso del suo intervento ha citato Isaia, cap. 5, lì dove il profeta dice: “Guai chi chiama bene il male e male il bene”. E’ forse la situazione che contraddistingue la realtà del nostro tempo?

R. E’ proprio quello che abbiamo fatto e sempre più stiamo facendo, supinamente, e senza assumere la drammatica responsabilità che deriva da tale confusione fra Bene e male. E’ la confusione che, per esempio, fa compiere delle scelte in nome di un amore che non eleva l’uomo, riducendolo ad oggetto e non a soggetto del proprio destino. Il divorzio, l’eutanasia, l’aborto: dietro c’è una giustificazione che farebbe intravedere un bene. Si dice: interrompi il tuo matrimonio, così rimuovi le cause della tua infelicità. Se vuoi essere felice, lascia tua moglie. Perché devi avere un bambino se hai già tre figli? Non dargli un destino di infelicità! Quindi sarebbe un atto di amore impedire al figlio di condurre una presunta vita difficile, e pertanto lo si elimina! Così l’eutanasia … Questa è la menzogna: chiamare amore ciò che amore non è; chiamare vita ciò che invece da morte. Il bene è bene e il male è male. La luce è luce e le tenebre sono tenebre. Nella Bibbia non troveremo mai la parola “chiaroscuro”, la parola “penombra”. O luce o tenebra, non c’è compromissione. Ecco perché questa radicalità oggi giova. Non è più tempo di mediazioni, non siamo più in grado di mediare perché stiamo perdendo la stessa nozione di bene e di male; quindi bisogna ribadire in modo più fermo ciò che è bene e ciò che è male.

D. Questo significa che forse è giunto il momento di superare la pastorale delle “mediazioni”, piccole o grandi che esse siano, a favore di una riaffermazione del principio identitario?

R. Il Vangelo è una testimonianza e non una mediazione. Gesù ha detto: “Andate e siate testimoni”, non: “siate mediatori”. Ora, se mediare significa dialogare, il cristiano ben conosce l’arte del dialogo. Di generazione in generazione ha fatto del dialogo, ha fatto della convivenza pacifica, ha fatto della capacità di trarre il bene da ogni cosa; di valorizzare il genio, lo spirito, le diversità. Ciò non toglie che questo avvenga a partire dall’identità propria che va fortemente riaffermata. In un tempo in cui le identità si indeboliscono; in un tempo in cui la neutralità diventa nullità, noi abbiamo bisogno di ribadire l’identità, perché nel confronto le identità diverse si rafforzano, non si annullano.


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