IRAN, SFIDA LA LEGGE SUL HIJAB: RAGAZZA CURDA PUNITA CON 74 FRUSTATE

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Il Movimento “Donna, Vita e Libertà” in Iran si oppone al regime degli ayatollah e alla sua misoginia. Nato dal sangue sparso dalla giovane curda Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale nel settembre del 2022 perché non indossava correttamente il velo e morta tre giorni dopo in ospedale per le conseguenze delle percosse, il movimento non può più scendere apertamente in piazza ma continua a farsi sentire in altre forme. Sfidando la violenta repressione del regime, che ha causato uccisioni e ondate di arresti, e il suo tentativo di silenziarlo.

L’ultima in ordine di tempo ad essere condannata per aver violato la legge che impone alle iraniane di indossare l’hijab in pubblico è ancora una giovane curda, come Mahsa. Si chiama Roya Heshmati, ha 33 anni ed è un’attivista.

Aveva diffuso una sua foto senza il velo scattata a Teheran. Per questo era stata condannata a un anno di reclusione con la sospensione della pena, a 74 frustate e al divieto di lasciare il Paese per tre anni, come riporta l’Ong curda per i diritti umani Hengaw, che ha sede in Norvegia. La medesima ONG riferisce anche che la pena è stata eseguita lo scorso 3 gennaio.

Come evidenziano fonti dell’opposizione iraniana, la ragazza ha rifiutato di indossare l’hijab anche durante la punizione.

In nome delle donne, in nome della vita, le catene della schiavitù sono state spezzate“, ha detto a gran voce Roya Heshmati mentre veniva punita.

”Ho dovuto affrontare la mia condanna a 74 frustate per aver violato l’obbligo di indossare l’hijab”, ha scritto Roya Heshmati sui social.

”Accompagnata dal mio avvocato, sono entrata nell’ufficio del procuratore del Distretto 7 togliendomi deliberatamente l’hijab. Ignorando gli ordini dei funzionari, ho mantenuto la mia posizione. Un agente ha minacciato ulteriori punizioni se non avessi obbedito, ma mi sono rifiutata di indossare l’hijab”, ha raccontato.

”Sono stata ammanettata e condotta in un seminterrato, che assomigliava a una camera di tortura….”, ha aggiunto.

Nel terribile racconto si descrive una ”sala delle esecuzioni, con pareti di cemento e un minaccioso letto da esecuzione. Il giudice mi ha chiesto se stavo bene e o sono rimasta in silenzio, mostrando la mia resistenza”.

Roya Heshmati spiega che le è stato ”ordinato di prepararmi per le frustate. Ho appeso il cappotto e la sciarpa, rifiutandomi di indossare l’hijab nonostante la loro insistenza. Quando sono iniziate le frustate, ho recitato in silenzio una poesia sulla liberazione e la resistenza. Nonostante il dolore, non lasciavo loro vedere la mia sofferenza. Dopo la punizione, ho continuato a sfidare le loro richieste di indossare l’hijab, simbolo della mia ferma posizione contro l’oppressione”.