LA LETTERA DI BENEDETTO XVI ALL’EPISCOPATO CATTOLICO (di Michele Tuzio)

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VATICAN CONSERVATIVES 

 

Con decreto della Congregazione dei Vescovi del 21 gennaio 2009, Benedetto XVI ha revocato la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani della “Fraternità sacerdotale San Pio X”, illegittimamente consacrati il 30 giugno 1988 da Mons. Marcel Lefebvre, privo di mandato della Santa Sede e dissidente su alcuni aspetti fondamentali del Concilio Vaticano II (come la libertà religiosa, l’ecumenismo, il tema della collegialità, la riforma liturgica). Il clamore suscitato dalle posizioni antisemite di uno dei vescovi lefebvriani “perdonati”(Richard Williamson) e gli attacchi a Benedetto XVI, hanno indotto il Pontefice a scrivere una lettera, datata 10 marzo 2009, a tutto l’episcopato cattolico, per chiarire le ragioni della sua decisione contestata e  «contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa».

I giornalisti di tutto il mondo hanno dato alla lettera grande risalto e parte della stampa si è inventata persino una presunta solitudine del Papa, che lo ha fatto sorridere divertito durante il suo viaggio in Africa.

Lo stile della lettera è sorprendente e inusuale per un documento pontificio, immediato, sincero e coraggioso, una mirabile sintesi di umiltà, forza, autorità e spirito ecclesiale. Aperto e franco, fino ai limiti di una confessione pubblica, il Papa dichiara umilmente e con “candore” (come nota il giornalista Renato Farina) i propri limiti e quelli dei suoi collaboratori,  gli errori commessi nella gestione del caso Williamson e la superficialità nell’utilizzo di nuovi strumenti me diatici come Internet. Ne trae, di conseguenza,  «la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestare più attenzione a quella fonte di notizie». Mostra grande amarezza, perché  un atto di riconciliazione, «gesto discreto di misericordia» verso i vescovi lefebvriani, è stato utilizzato, al contrario,  come un atto di divisione verso «gli amici ebrei»,  «come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa». Nel ringraziare gli ebrei, che lo «hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia», il Papa accusa taluni cattolici di averlo colpito «con un’ostilità pronta all’attacco». Poi, quasi con “spregiudicata” libertà,  argomenta con forza sui due temi centrali della lettera:

·              Il primo tema, già toccato in altre circostanze (Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005), riguarda la piena accettazione dottrinale del Concilio Vaticano II, da considerare  in continuità (e non in rottura) con tutto il Magistero elaborato nel corso dei secoli fino a quel momento: da questo punto di vista, c’è un forte richiamo alla Fraternità “tradizionalista” a non «congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962»; ma c’è un invito altrettanto forte ai cosiddetti “cattolici progressisti” («alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio») a ricordare «che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa» e che «chi vuole essere obbediente al Concilio deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive»

·              Il secondo tema è quello delle priorità da dare oggi, nella Chiesa, all’ «impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore nel mondo» e alla necessità  «di rendere Dio presente in questo mondo» per aprirne l’ accesso agli uomini.   Il Papa ammonisce drammaticamente che «il vero problema in questo momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più». In questo mondo di “pecore smarrite” «chi annuncia Dio come Amore “sino alla fine” deve dare la testimonianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’inimicizia», le divisioni e le lotte da “lupi rapaci” che vengono ingaggiate in nome di un malinteso senso della libertà. «Che la libertà» cita il Papa da San Paolo (Galati 5, 13-15) «non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te s tesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri». Da qui la seconda priorità, conseguente alla prima: la necessità di «riconciliazioni piccole e medie». Dio non voglia che quest’appello venga considerato come un appello rivolto ad altri, perché anche intorno a noi  esistono incomprensioni, rancori, divisioni, indifferenza e ipocrisia, da cui  abbiamo urgente bisogno di liberarci in questo tempo di Quaresima che, come ricorda Benedetto XVI a chiusura della lettera, «è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore».

 

(nella foto il Vescovo Mons.

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