LA VIA ALL’AUTOSTIMA (recensione a cura di David Taglieri)

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downloadSi dibatte, in questa era di grandi conquiste tecnologiche ma di profonda disperazione umana e sociale, sulle vie possibili alla felicità, su cosa sia la felicità e se essa corrisponda a determinati parametri: la libertà, la verità, l’indipendenza o la comunità.

Anni fa uscì una bella collana di libri dedicati alla psicologia diretta da Claudio Risè: non testi meramente nozionistici o trattati per addetti ai lavori, ma saggi che avevano lo scopo di trasmettere alla persona le coordinate giuste  non solo per il benessere – oggi insieme al denaro quasi considerato il fine ultimo della società – ma soprattutto per la gioia autentica.

La collana “I dodici passi” – intuizione di Risè – propone dodici passi importanti che sono un ottimo sussidio per comprendere a fondo il nostro valore, partendo dai disagi e dagli elementi negativi, o perlomeno da quelle caratteristiche che non siamo in grado di accettare in noi stessi .

Quei fattori diventano una risorsa se siamo in grado di utilizzarli al meglio;  il saggio qui analizzato è quello di Anselm Grun: “La via all’autostima”, edito da Famiglia Cristiana (pagg. 110).

La capacità di Grun è quella di conciliare la sua grande competenza e dimestichezza nel campo psicologico con la conoscenza evangelica, basilare per andare a fondo delle questioni che implicano il fisico, la testa, il cuore e l’anima; perché Grun dimostra molto bene come tutti gli aspetti siano interconnessi e non si possa trascurare proprio nulla nella cura delle malattie dell’interiorità.

Si inizia dalla costruzione di una buona stima di sé,  che sorge dalla fiducia originaria che il bambino instaura  con la mamma Se però la mamma è insicura, se ha paura di commettere qualche errore, allora inevitabilmente il bambino diventerà insicuro; ciò che la mamma sperimenta lo trasmette al piccolo, per questo è necessario affrontare le paure perché quelle fanno parte dell’esistenza. Non siamo robot, ma dobbiamo essere in grado di utilizzare le paure come campanello d’allarme,  come fattore di crescita, come qualcosa che tempri le ferite esistenziali.

La  componente rischio ci induce a metterci in gioco, a sfidare noi stessi, ad avere fiducia in Dio che ce la restituisce con gli interessi: questa è una delle tesi più affascinanti di Grun, influenzato anche dalle teorie di Erik Erikson; prima dell’autostima, termine molto inflazionato, c’è la giusta valutazione di se stessi, la misura delle nostre qualità e dei nostri difetti che dobbiamo ponderare con estremo equilibrio.

Come il linguaggio odierno insegna, esistono tanti termini pronunciati senza conoscerne la reale portata; Grun  ci spiega a fondo cosa significhi autostima, dato che se ne parla a dismisura senza mai specificarne origini e derivati. Così scopriamo che prima dell’autostima c’è l’identità.

Dice Anselm Grun che l’identità dell’io implica il sentimento di aver accettato tutti gli aspetti della vita ed averli integrati nel proprio io, nel bene e nel male (pag. 10).

Avere raggiunto la strada dell’intimità con se stessi porta a generare figli o attività creative, per uscire dal proprio egoismo e proiettarsi verso la comunità.

Sviluppare una buona autostima è fidarsi di se stessi, di Dio e della propria unicità, perché in quanto creature siamo uniche; e nel caso dobbiamo anche saperci dis-identificare dalle immagini che gli altri ci appiccicano addosso, o perlomeno crediamo che gli altri ci abbiano appiccicato.

Perché il paradosso è proprio questo: viviamo un’era di tale egocentrismo di massa, che ci vediamo come pensiamo che gli altri ci vedano; a volte può capitare oggettivamente che gli altri ci guardino nella giusta dimensione e noi da saputelli pretendiamo che ci considerino più belli, più buoni e bravi di quello che effettivamente siamo.

O anche ci crediamo negativi agli occhi degli altri e con questo atteggiamento – ovviamente – trasmettiamo negatività.

La società, i social network e  i media rimbombano di messaggi di auto-glorificazione personale e la gente sta perdendo il metro del giudizio, passando così dall’euforia alla depressione per un “mi piace” attivato o non attivato, o per dei commenti che arrivano o non arrivano.

È attualissimo questo saggio visto con gli occhi del  2015; siamo nel frastuono e Grun ci dice di ricercare il silenzio interiore, perché nulla e nessuno può donarci quella concentrazione, quella interiorità, quel mistero.

Se non siamo a posto con noi stessi – e con una dimensione assoluta per chi crede -, non possiamo esserlo con gli altri. Per questo l’autostima va appresa.

Primo step allora è conoscerci psicologicamente con l’aiuto di un esperto, non vergognarsi, tutti potremmo entrare in crisi, e addirittura chi non lo è conosce meglio se stesso e può evitare debacle improvvise; secondo step connettersi con l’Assoluto, se del caso con l’aiuto di un bravo padre spirituale … dice Grun che “… nella fede posso superare il livello psicologico e trovare quello trans-personale, il luogo in cui Dio abita in me e sono pienamente me stesso” (pag. 67).

Le due vie  – quella concreta psicologica e quella interiore – sono inscindibili, l’una non può senza l’altra.

Ci piace questo mix di pragmatismo e spiritualità, forse la chiave giusta per uscire dalle ristrettezze e dai limiti del prevedibile per approfondire discorsi più grandi di noi.

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