LEONE XIII E LA QUESTIONE ORIENTALE

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prot_604.jpg Le Edizioni Angelo Guerini & Associati hanno pubblicato i risultati di un’approfondita ricerca storica voluta dall’Università Carttolica e condotta da Giorgio Del Zanna, ricercatore presso la cattedra di Storia Contemporanea della medesima Università di Milano. Il libro che ne è scaturito si intitola “Roma e l’Oriente” (Guerini & Associati, Milano, 2003, pagg.443, euro 32,00) ed è uno spaccato dell’azione diplomatica condotta da Leone XIII, primo pontefice ad essere eletto dopo la fine del potere temporale, nei confronti della cosiddetta “questione orientale”.
Leone XIII fu chiamato al soglio pontificio nel 1878, quando ormai l’impero ottomano era già entrato nella sua fase di crisi irreversibile. Di quella crisi cercavano di approfittarne da una parte le grandi potenze europee, tra di loro in condizione di instabile equilibrio, e dall’altra il nascente fondamentalismo musulmano.
Nel 1878, nello stesso anno in cui il cardinale Pecci era diventato Leone XIII, a seguito della rovinosa guerra contro la Russia e al successivo congresso di Berlino l’impero ottomano aveva perso gran parte dei suoi domini europei e così la Romania, la Bulgaria, la S erbia, la Bosnia-Erz egovina e il Montenegro avevano maturato il loro definitivo processo di affrancamento dai Turchi.
Alla Sublime Porta in Europa restava soltanto un corridoio che dalla Tracia andava verso ovest, passando dalla Macedonia e arrivando s ino in Albania. C’erano poi alcuni importanti territori greci, come Creta e Cipro, mentre in Medio Oriente gli Ottomani governavano Siria, Libano e Palestina.
Come se non bastasse nelle varie regioni dell’Impero, soprattutto dove più forte era la presenza cristiana, montavano gli aneliti alla libertà e all’indipendenza.
Se da qualche parte, come a Creta, la rivolta andrà a buon fine con la cacciata dei Turchi, nelle altre parti dell’impero i moti furono soffocati e contro gli Armeni si realizzò la prova generale di quello che, nel 1915, sarà il primo genocidio del XX secolo. Di fronte alle spinte autonomiste degli Armeni in Turchia, degli Albanesi in Epiro, dei Maroniti in Libano, l’atteggiamento vaticano ondeggiò fra la solidarietà espressa a questi popoli cristiani oppressi dall’Islam e la preoccupazione che al tradizionale status quo ottomano si sostituisse l’ assolutismo panslavista della Russia ortodossa o il colonialismo inglese. In Medio Oriente i rapporti con la Francia, tradizionalmente paladina delle comunità cristiane ivi residenti, erano inficiati dal pesante laicismo e anticlericalismo condotto dai governi repubblicani di Parigi. L’Inghilterra e la Prussia finanziavano con fiumi di denaro le missioni protestanti, anche a Gerusalemme.
Insomma l’impero ottomano era ancora un gigante, ma dai piedi d’argilla, suscettibile di perdere pezzi per strada, e proprio per questo capace di terribili, violenti, sanguinosi colpi di coda contro i Cristiani, identificati a torto o a ragione come nemici interni.
Nell’ambito di questo scenario internazionale così difficile Leone XIII aveva dalla sua l’esperienza della diplomazia vaticana e l’universale stima di cui la Chiesa cattolica godeva: con queste armi cercò di tutelare le comunità cattoliche indigene, di antica e nuova adesione (come gli uniati bulgari) e il vasto movimento missionario presente nei confini dell’impero.
Con varie encicliche che rilanciavano la comune devozione nei confronti dei Santi Cirillo e Metodio il papa tentò pure la carta della distensione con il patriarcato ortodosso di Costantinopoli, nella speranza della definitiva riunificazione. Grazie a tale poderosa azione diplomatica a molti Cattolici furono risparmiate, almeno in parte, le sofferenze che si abbatterono su altre comunità cristiane, come Armeni e Ortodossi.
Il quadro generale che se ne ricava è comunque la fine del cosmopolitismo ottomano, dove i Cristiani nel loro complesso erano stati una percentuale considerevole della popolazione di Costantinopoli e di tutto l’impero.
Le potenze occidentali, Inghilterra e Francia in testa, troppo prese dai propri giochi di potenza, permisero che il vacillante impero ottomano si avvolgesse su se stesso, dando ascolto alle spinte fondamentaliste e quindi praticando la caccia al cristiano. Quell’accettabile equilibrio di popoli, di fedi e di culture che per quasi due secoli la Sublime Porta aveva comunque garantito, proprio in quello scorcio di fine secolo si avvierà ad andare in frantumi.
Roberto Cavallo

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