PROFUGHI DALL’ERITREA: ECCO PERCHE’ (L’Ora del Salento, 10 maggio 2008, pag.11)

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eritrea.jpg LE INTERVISTE DELL’OSSERVATORIO

 

Incontriamo Padre Antonio Caccetta nel suo studio adiacente la chiesa di Santa Maria dell’Idria a Lecce. Padre Antonio alterna l’attività di parroco con quella di missionario vincenziano. Il suo amore, per nulla celato, è per la lontana Eritrea. Ricalca così le orme di San Giustino de Jacobis, che nella casa dei Missionari Vincenziani di Lecce fu superiore dal 1834 al 1836. Ma soprattutto San Giustino de’ Jacobis fu l’evangelizzatore dell’Eritrea. Da allora i Vincenziani hanno sempre avuto delle loro case nel Corno d’Africa, tanto in Eritrea che in Etiopia. Oggi queste due realtà africane sono divise da un antagonismo profondo, che negli ultimi anni (1998-2000) è sfociato in guerra aperta. Nonostante una fragile tregua, la tensione resta molto alta. Attualmente l’Eritrea detiene il primato mondiale delle spese militari, con più del 20% del PIL destinato alla difesa; ma anche l’Etiopia investe molto in armamenti, perché, oltre al “fronte eritreo”, è impegnata sul versante somalo a sostegno del nuovo governo di unità nazionale, appoggiato dalla comunità internazionale ma osteggiato dalle Coorti Islamiche e dai militanti di Al Qaeda.

Ne parliamo con padre Antonio, testimone di queste realtà perché ad intervalli regolari si reca in Eritrea.

 

 

Cosa ha scatenato la guerra del 1998-2000 ?

“Con il crollo del regime comunista di Menghistu, nel 1993 l’Eritrea ottenne l’indipendenza dall’Etiopia, dopo una lotta di liberazione durata trent’anni. Le cose sono andate abbastanza bene sino al 1998, quando per problemi di delimitazione dei confini scoppiò la guerra, durata sino al 2000. Dalla tregua del 2000 si è passati ad uno stato di vigilanza armata che, almeno in Eritrea, coinvolge l’intera popolazione maschile: tutti gli uomini dai 18 ai 50 anni sono obbligati al servizio di leva, che dura illimitatamente, nell’estenuante attesa di un imminente attacco etiope.”

 

Come vive la gente comune ?

“Vive come può, e cioè con niente o con scarsissime risorse. Un professore, per fare un esempio fra le categorie meglio retribuite, guadagna l’equivalente di 30-40 euro al mese. In un Paese povero di risorse, che si basa essenzialmente su agricoltura e pastorizia, si avverte molto la mancanza del lavoro maschile nei campi, perché gli uomini sono impegnati al fronte o nel chiuso delle caserme. Le donne restano sole a crescere i bambini, che comunque vengono sempre accolti con amore …”

 

 

A questo punto diventa importante l’attività dei missionari e delle altre organizzazioni non governative …

“Sì, con la differenza che qui rispetto ad altri posti del mondo l’attività caritatevole della Chiesa è molto controllata. Il governo del presidente Isaias Afewerki, pur formalmente non ostile al cristianesimo, tanto cattolico che ortodosso-copto, non consente facilmente alla Chiesa di svolgere la propria missione in favore dei più poveri e abbandonati, che in Eritrea sono tantissimi.”

 

 

Dal punto di vista internazionale, chi sostiene il governo eritreo?

“L’Eritrea non ha grandi relazioni con l’estero. Tuttavia si nota un rapporto preferenziale con la Cina”.

 

 

Quali sono i rapporti fra Cristiani e Musulmani?

“I musulmani in Eritrea sono una minoranza, e cioè circa il 25% della popolazione. Non esistono problemi religiosi, e la convivenza con i cristiani, cattolici e copti, è sempre stata buona. La Chiesa poi non fa distinzioni fra cristiani e musulmani, e quando c’è bisogno di aiutare lo fa con tutti”.

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