ROVESCIARE IL ’68 (Recensione a cura di Omar Ebrahime)

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E’ stata una vera e propria rivoluzione e come tutte le vere rivoluzioni ha tagl iato il tempo in due: un prima e un dopo. Eppure del cosiddetto Sessantotto, degli sconvolgimenti cioè che visse la società occidentale nell’anno 1968 (o meglio, a partire da quell’anno) se ne parla poco. E le poche volte che se ne parla lo si fa in modo reducistico o trionfalistico. Fa eccezione un volume dello scrittore Marcello Veneziani (Rovesciare il ’68. Pensieri contromano su quarant’anni di conformismo di massa, Mondadori, Milano 2008), osservatore dei costumi della società italiana e mente brillante prestata al giornalismo (scrive quotidianamente per Il Giornale). Il saggio, suddiviso in quattro capitoli, ognuno composto di brevi pensieri racchiusi in piccoli paragrafi, si presenta come una delle poche ricostruzioni della Contestazione non retorica né elogiativa. Lo stesso modo in cui il testo si presenta, originalmente creativo, senza un discorso continuato ma fatto di battute sparse è in qualche modo una provocazione per il lettore che è chiamato a rispondere ai numerosi giudizi taglienti che, dai vertici della politica istituzionale ai comportamenti più diversi del corpo sociale,  non risparmiano nessuno. Ma che cosa è stato il cosiddetto Sessantotto? Che cosa s’intende con questa espressione? In breve, come noto, il termine rimanda alle numerose manifestazioni e rivolte che caratterizzarono la società occidentale in quell’anno e, tuttavia, non sono limitate a quell’anno. Il Sessantotto è l’anno-simbolo perché in quell’anno ha inizio il cosiddetto “Maggio francese” con l’Università della Sorbona di Parigi occupata dagli studenti e gli scontri di piazza dei sindacati con la polizia (in Italia i primi focolai scoppieranno a settembre). Ma segni di rivolta c’erano stati già anni addietro con la contestazione studentesca all’Università di Berkeley negli Stati Uniti. E’ questo uno dei dati da tenere presenti per circoscrivere il fenomeno: il Sessantotto non è semplicemente un anno della storia ma un insieme di eventi, accadimenti e manifestazioni che se pure in quell’anno si diffondono un po’ ovunque non si esauriscono però cronologicamente in quell’anno. Anzi. Arrivano fino all’oggi. Per cui il carattere del Sessantotto non va ricercato in fenomeni di superficie pure importanti e clamorosi (un’occupazione universitaria o una manifestazione violenta) ma in un’atmosfera di idee, s entim enti e tendenze che si diffonde tra i giovani fino a diventare dominante.

Il Sessantotto è quindi anzitutto una temperie culturale e (im)morale, un atteggiamento dello spirito, una visione della vita che infine si fa ideologia. Rivoluzionaria. Veneziani infatti ricorda che “fu l’ultima rivoluzione in Occidente” (p. 3).

Il Sessantotto cioè mira a rovesciare lo stile di vita dell’uomo naturale in un processo di progressiva distruzione di ogni legame vitale: con Dio, con gli altri uomini e infine con sé stesso. Fino all’esito coerentemente drammatico dell’ autodistruzione attraverso la tossicodipendenza o il suicidio.

Affermandosi negli anni il Sessantotto diventerà ideologia, intesa come sistema di miti che promette il raggiungimento della felicità “secolarizzata”, cioè totalmente infraterrena, attraverso l’azione politica. Tuttavia, fallita l’azione politica il Sessantotto inciderà drammaticamente sul costume e sui comportamenti sociali.

Tutto era iniziato da una ribellione giovanile (talora motivata) nei confronti di alcuni aspetti di una società definita conformista, incapace di assorbire uno dei processi di urbanizzazione più massicci che la storia ricordi. Da lì si affermerà un rilassamento dei costumi che farà epoca dando luogo a un clima di rilassatezza e permissivismo (da cui la celebre “dolce vita”). Così, nel 1970 nacquero, a poca distanza l’uno dall’altro: il Movimento per la Liberazione della Donna (un organo del Partito radicale ideato per dare una pseudo-dignità alle battaglie eversive e rivoluzionarie di quegli anni), quello per la liberazione omosessuale e quello nudista. Nel 1975 a Roma si terrà la grande manifestazione femminista che auspicava la distruzione del la famiglia. La primavera del 1977 vedrà infine un’ultima fiammata contestatrice con scontri violenti di piazza e l’affermazione della lotta armata “contro il sistema” grazie soprattutto alle Brigate Rosse, sorte in parte dal “braccio armato” clandestino del PCI.

Qualcuno potrebbe chiedersi: questa è roba vecchia, perché mai sarebbe importante oggi? Perché parlarne?

Anzitutto perché “quei rivoluzionari e i loro continuatori sono oggi la classe dominante, sul versante progressista e sul mezzo versante moderato; nella cultura, nella politica e nei media, nella scuola e nell’università, nel sindacato e nella magistratura, nel regno della ricreazione e della pubblicità” (p. 3). Detto in modo suggestivo: il ’68 è al potere e vigila su di noi. Anche solo per questo val la pena interessarsene. Guardando al dibattito politico, ad esempio non si può non registrare, denuncia l’Autore, che “la sinistra riformista e liberal [è diventata] partito radicale di massa trasferendo la rivoluzione dalla fabbrica alla casa” (p. 4). Se la rivoluzione politica è fallita ha trionfato invece la rivoluzione libertina: quella i cui principi si riassumevano nello slogan ‘vietato vietare’. Così, il principio del piacere ha sostituito il principio di realtà. Per cui se la rivoluzione sessantottina non ha rovesciato gli assetti di potere ha però rovesciato i valori e i costumi. Il più devastante è stato forse l’assalto furibondo all’istituto familiare che per uccidere la figura del padre uccise i figli e “si fece infanticidio tra aborti, contraccettivi e denatalità” (p. 9). La rivoluzione prosegue in famiglia, dicevano i sessantottini.

Oggi l’affermazione del Sessantotto è evidente nel rifiuto diffuso di procreare, tipico di una società disperata, in cui si afferma l’amore sterile (volutamente senza figli), in modo esemplare nelle cosiddette “convivenze”, le unioni libere more uxorio, ultime forme di concubinato derivate dallo spirito sessantottino.

E’ senz’altro vera, quindi, l’affermazione che racchiude il pensiero principale della prima parte del saggio secondo cui “il 68 fu soprattutto una metafisica dei costumi” (p. 13), una sorta di rivoluzione sessuale in cui non ci sono più ruoli né compiti. Basti pensare che prima di quell’anno in Italia, come in gran parte dell’Occidente, non c’era una mentalità divorzista di massa.

Oggi c’è.

Tutto questo, come accennato, si afferma non da un giorno all’altro, ma grazie a un clima creato anche culturalmente. Così la musica si fa carico di messaggi devastanti che però nella confusione dei tempi passano gli argini e come si dice con una frase fatta, segnano una generazione. Tuttora molti considerano ad esempio come la canzone più bella del Novecento “Imagine” di John Lennon. Forse qualcuno non ha mai letto il testo: “Immagina che non ci sia il paradiso…e nessun inferno sotto di noi…Immagina la gente vivere per l’oggi…Immagina che non ci siano più patrie…Nessun motivo per cui morire e uccidere, nessuna religione…”. Non servirebbero commenti ma Veneziani chiosa a suo modo perché vuol essere sicuro che il messaggio passi: “Se i valori sono questi, perché non dovrebbero bucarsi, alcol e musica a tutto volume e farsi i porci comodi fino in fondo? Se si vive solo per l’oggi, senza più motivi per vivere e per morire, se non ci sono più paradisi e inferni, se non ci sono più Dio né patria né radici, perché poi lamentarsi quando il mondo si riduce a un cesto della spazzatura e noi ne siamo i relativi materiali in transito, frutto di una liberazione che somiglia a un’evacuazione?” (p. 24). Brutale, ma non fa una grinza. L’altra vittima del Sessantotto è stato il senso del pudore. Le femministe di quegli anni devono ancora rispondere alla domanda su cosa ne sia stato della dignità della donna. La cd. liberazione sessuale ha coinciso con l’uso commerciale e consumistico del sesso e della donna. “Mai come dopo l’emancipazione femminile la donna è stata utilizzata in vita e in video come gadget, oggetto erotico ed esca pubblicitaria, arnese di richiamo e status symbol” (p. 25). E’ uno dei tanti, tantissimi paradossi del Sessantotto. La pornografia diventa di fatto libera (ma la Costituzione non la vietava?). Dal Sessantotto poi esplode l’aborto come ideologia, che diventerà abortismo con i suoi gruppi di supporto, i suoi intellettuali, perfino i suoi partiti. E’ una cosa inaudita ma che dà forse il segno più reale della rivoluzione: “Crimini contro l’umanità vengono presentati come gesti umanitari” (p. 95).

E ancora: la trasformazione radicale del linguaggio (il turpiloquio entra lentamente nel quotidiano) e dei modi di vestire (siccome non ci sono più ruoli anche il vestito smette di ‘identificare’ la persona: un maschio può vestire da femmina e viceversa, un ragazzo da adulto e viceversa etc)…

Tutto questo e molto molto altro ancora è stato il Sessantotto, ogni pagina del libro rimanda ad un aspetto e alla fine della lettura l’elenco è impressionante.

I suoi effetti arrivano fino all’oggi e continuano ad inquinare ugualmente l’anima delle generazioni che il Sessantotto non l’hanno visto né vissuto. Il fenomeno delle ‘convivenze’ di coppia in aumento e il diffuso svuotamento di senso che caratterizzano l’agire dell’uomo contemporaneo sono solo due degli esempi più immediati. E’ la dimostrazione di come quella rivoluzione non è finita ma continua ad affermarsi e a diventare una categoria di pensiero, un metro per misurare l’etica, la politica, e perfino, tragicamente, ciò che di più bello possa esistere: l’amore e la vita.

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