SAZI DA MORIRE (recensione a cura di David Taglieri)

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dowriseLa civiltà occidentale postmoderna attende sempre qualche attentato per risvegliarsi e dare lezioni di democrazia e maturità antropologica al mondo… poi ritorna in un profondo letargo di nichilismo e assolutismo laico, dove l’unico imperativo esistente è il diritto ad avere diritti, con ogni tipo di desiderio proveniente dalla mente umana – ma  il più delle volte indotto dai mezzi di comunicazione – che si trasforma in un diritto solo per il fatto di sentirci onnipotenti.

Claudio Risè  ha scritto il suo nuovo saggio dedicandolo alla bulimia della società dello spreco: Sazi da morire (pagg. 165, edizioni San Paolo).

Lo psicoterapeuta scrittore e collaboratore del Mattino oramai per la comunità di Recensioni e storia.it  non ha bisogno di presentazioni.

Nel suo nuovo lavoro enuclea la madre  di tutte le depressioni contemporanee: la rottura, la rimozione e la cancellazione del limite, la rinuncia alla fatica, al sacrificio, al senso di abnegazione. I Robot ci stanno gradualmente sostituendo, e l’uomo, con il sorriso stampato sul volto inebetito dalla lettura dei messaggi  legati ai bombardamenti mediatici dei social network ,si sta dimostrando del tutto annichilito di fronte agli schermi dei telefonini, inadeguato alle sfide, ed inerme.

Regna il principio del piacere in netto  contrasto con il principio della realtà, dove lo stesso piacere non è nemmeno a lungo termine, ma a breve periodo.

Consumo quindi sono: campeggiano messaggi pubblicitari legati al benessere, alle mode, mentre l’unica religione sembra essere diventata la scelta del centro commerciale dove la famiglia inebetita andrà a passare l’intera giornata di  domenica.

Il Capitalismo finanziario sembra avere stretto una solida alleanza con le teorie materialiste di marxiana memoria, e tutto è riducibile al materiale, mentre termini come spirituale o dimensione interiore sono assolutamente banditi in quanto politicamente scorretti.

Oltretutto lo sviluppo tecnologico viaggia alla velocità della luce,  ed è diventato fine a se stesso: quello che conta è il progresso della macchina a prescindere dagli effetti che questo può avere sull’uomo …

Risè come sempre non denuncia soltanto gli errori, i vizi, e le anomalie di questa società, ma organizza il libro con il suo classico schema molto efficace: prima si pone degli interrogativi sul dilemma che affronta, poi tenta di risolverli passo passo, parlandoci e fornendoci dati esperienziali della sua attività, oltre a riferimenti ai miti e alle leggende che hanno sempre un valore emblematico.

In questa maniera teoria e pratica viaggiano su binari paralleli; si avverte una certa preoccupazione dell’Autore, che però non sfocia nello scoraggiamento. Esiste la speranza dei corsi e dei ricorsi storici, perché è chiaro che l’essere umano è ormai stanco di alcune  “demenzialità internettiane”, di certi programmi televisivi (quelli sulle isole, ad esempio, con figure patetiche ormai al tramonto)  e dei condizionamenti sociali di una cultura spazzatura elevata ad originale.

Dopo tanta ricchezza, piacere e benessere, l’essere umano ha la nausea, quasi avrebbe voglia di rigettare fuori il tutto.

Non che il denaro sia da disprezzare, ma Risè ci esorta a considerarlo un mezzo dignitoso ed onesto di sostentamento, qualcosa che ci permette anche qualche sfizio, ma non un fine. Sembra quasi una banalità, un luogo comune, ma la pubblicità tutta spinge al consumo, all’immagine, alla confusione dei generi proprio per guadagnarci il denaro del popolo inebetito.

Il narcisismo di massa porta le persone a lodare la propria immagine, ad attendere il commento positivo di amici e conoscenti, e a innestare competizioni infantili con il contesto di appartenenza.

La cancellazione del Padre, del limite, dei confini ha fatto credere che il desiderabile divenisse possibile, e che il possibile fosse ovvio. Il culto del troppo conduce verso le droghe, verso le mode delle religioni orientali in salsa postmoderna occidentale e verso la noia.

L’uomo ha necessità di riacquisire il bisogno, il tendere a qualcosa, anche senza riuscire a raggiungere l’obiettivo, perché l’uomo è limitato: è dotato di talenti e qualità ma in fin dei conti limitato, non onnipotente,  andando incontro a fallimenti ed errori.

E questa sembra una bestemmia nel tempio del politicamente corretto.

È necessario recuperare l’urgenza di essere, accantonando la bulimia di consumare.

Rivivere la fatica, perché la fatica è madre di creatività e fantasia; solo affrontando i problemi l’uomo scopre in sé quanto bella è la macchina che Qualcuno ha progettato per lui, e quanto lontano dalla fatica sta il concetto di noia.

Perché l’Occidente è annoiato, questo è il fulcro; e allora cogliamo l’invito di Risé immergiamoci nella natura, magari in un orto straordinario, e fatichiamo, proteggiamo difendiamo la terra. Lì probabilmente scopriremo molte cose …

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