UNA QUARESIMA APOCALITTICA E SURREALE (di Stefano Chiappalone)

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Abbazia di San Galgano. I ruderi
Abbazia di San Galgano. I ruderi

L’anticipato “Venerdì santo” causato dalla sospensione delle Messe per prevenire i contagi da coronavirus richiama alla mente un evento e un luogo, entrambi icone di eloquenza tragica e muta. L’evento è la solenne Messa pontificale celebrata nel 1949 tra le rovine della cattedrale di Nagasaki, primizia di una rifioritura dopo la devastazione della bomba atomica.

Il luogo è l’abbazia di San Galgano a Chiusdino, in provincia di Siena, progressivamente decaduta e scoperchiata dal lungo declino. La prima, per così dire, morta sul colpo; la seconda a seguito di lenta agonia. Ma soprattutto: la prima uccisa da un nemico esterno, e infatti ricostruita; la seconda dall’interno, dall’abbandono, che l’ha resa un rudere enorme, suggestivo, ma pur sempre vuoto.

Se la Quaresima del 2020 somiglia a un’Apocalisse, essa richiama tuttavia San Galgano ben più che Nagasaki. Benché il panico generalizzato contribuisca non poco a considerarla apocalittica nell’accezione più comune e catastrofica, il termine va inteso piuttosto come «rivelazione»: tale è infatti l’autentico significato della parola greca che dà il nome all’ultimo libro delle Sacre Scritture, non a caso mantenuto dagli anglofoni, che non lo chiamano«Apocalypse», bensì Book of Revelation, il «Libro della Rivelazione».

E tale è l’icona che più colpisce in questi giorni di interdetto forzato dei riti liturgici: gli altari vuoti, che, al momento in cui scrivo, non si sa quando torneranno a essere pubblicamente officiati, e, a dirla tutta, neanche se torneranno a esserlo, poiché la fine dei secoli potrebbe avvenire anche domani. È una plastica rappresentazione dello skyline interiore dell’Occidente, il cui mutamento graduale, invisibile, ha avuto finora riflesso visibile nello skyline esteriore, anch’esso gradualmente mutato, benché con una decisa accelerazione a partire dalla metà del secolo XX.

Cupole e campanili, un tempo magneti spirituali e architettonici del paesaggio, sono andati scomparendo sotto l’indistinta coltre cementizia che caratterizza – anzi, che priva di qualsiasi caratterizzazione – il panorama di qualsiasi centro abitato. Beninteso, anche in passato città e villaggi crescevano attorno agli edifici sacri, ma oggi più che organizzarsi intorno a essi paiono soffocarne la presenza, condannandoli all’anonimato. Per inciso, di certe chiese contemporanee che invece sono volutamente anonime, «fia laudabile tacerci», si direbbe con il Sommo Poeta (Inferno, XV, 104).

La desolazione degli altari lombardo-veneti deserti, le celebrazioni a porte chiuse «in un clima surreale» – così definito dal patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia – hanno costituito uno shock analogo a quello vissuto nel 2013 da credenti e non, all’indomani della rinuncia al pontificato di Papa Benedetto XVI. Allora l’icona “apocalittica” era costituita dalla cattedra vuota, quando persino chi non simpatizzava con il timido pontefice tedesco si sentiva turbato dall’improvvisa vacatio Petri, dall’assenza di Pietro. Adesso è vuoto l’altare, assente l’eucaristia che abbiamo finora considerato scontata e a portata di mano, quasi alla stregua dei prodotti di quei supermercati che, nonostante tutto, continuano a restare aperti e affollati.

È un’impietosa fotografia del nostro Zeitgeist, lo spirito dei tempi da cui nessuno è immune, compreso chi scrive, più sollecito a fare scorta di pasta (al supermercato) che di Cristo (in chiesa): i campanili non svettano più da tempo perché gli altari, in realtà, erano abbandonati ben prima di questa Quaresima apocalittica e surreale.

Ci sarà un giorno in cui si ricostruiranno le rovine antiche, si rialzeranno gli antichi ruderi e si restaureranno città desolate (cfr. Is 61,4). Ci sarà un giorno in cui si cercherà Dio con la stessa ansia con cui oggi si anela a un flacone di amuchina. Ci sarà un giorno, in breve, in cui l’icona dell’abbazia di San Galgano cederà il posto alla cattedrale di Nagasaki, in cui le rovine non saranno più mute superstiti di una decadenza, bensì fondamenta di una rinascita. Ma, parafrasando Aragorn, non è questo il giorno…

 

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