LA FRANCIA, PROVINCIA DELL’ISLAM

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Dal sito informazionecorretta.com leggiamo e pubblichiamo il commento di Stefano Piazza: “Mila, adolescente francese di 16 anni, è finita sotto scorta insieme alla sua famiglia. È stata minacciata di morte in seguito a un commento su Instagram. La ragazza aveva «osato» criticare l’islam politico, rispondendo a dei giovani musulmani che la insultavano per la sua omosessualità. Il delegato generale del Consiglio francese per il culto musulmano ha detto che «se l’è cercata», ottenendo il plauso della comunità islamica. Così, adesso, Mila non può più neanche circolare liberamente a Vienne, in provincia d’Isére.

Del resto, è in buona compagnia: a Maubeuge, Les Mureaux, Mantes-la-Jolie, Guyancourt, Trappes, Créteil, Roubaix, Maubeuge, Saint-Denis e in altre centinaia di piccoli centri di provincia, le donne musulmane non possono più uscire di casa da sole e, se lo fanno, devono camminare dietro gli uomini e mai accanto. Non sono autorizzate a discutere tra loro, mentre la musica è vietata, le coppie non possono tenersi per mano, l’abbigliamento da indossare è solo quello previsto dal Corano e l’alimentazione un’esclusiva delle macellerie «halal», che ormai hanno soppiantato quelle tradizionali.

A dirlo non sono gruppi xenofobi e detrattori dell’islam, ma i servizi segreti francesi. Lo ha reso noto l’ultima relazione del Dgsi (il servizio interno) giunta sulla scrivania del presidente Emmanuel Macron, con cui l’intelligence avverte che alcune associazioni islamiche radicali controllano ormai direttamente oltre 150 «zone sensibili» del Paese.

Lo scorso gennaio, inoltre, il Journal du Dimanche – che ha visionato i documenti coperti da segreto di Stato – cita alcune parti del dossier e descrive una «cartografia dei territori conquistati dall’islamismo». L’intelligence sottolinea come salafiti e Fratelli musulmani siano penetrati stabilmente in alcuni quartieri ad alto rischio di Parigi, Lione, Marsiglia, Tolosa, Nizza e nelle province dell’Alta Savoia, esautorando di fatto lo Stato centrale e sostituendosi a esso secondo modalità di controllo del territorio simili a quelle adottate dalla mafia e dalle organizzazioni criminali. Secondo la Dgsi, siamo di fronte a una «comparsa di microterritori che si salafizzano in zone improbabili». In alcune di queste aree, le spinte secessionistiche si stanno facendo più marcate e a legittimare le aspirazioni di separazione non ci sono solo gli imam salafiti, ma un vero e proprio partito nazionale islamico sul modello dell’Akp turco: un progetto, quindi, pensato e gestito dalla Fratellanza musulmana locale, e forte al punto da aver già fatto le prove generali in molti comuni: per esempio Lille, Marsiglia e persino Lione, dove l’Unione dei democratici musulmani francesi (Udmf) e l’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia (Uoif) continuano ad attrarre elettori e simpatizzanti.

«Siamo in maggioranza, non crediamo più alle vostre leggi e vogliamo vivere secondo i dettami di Allah. O ci concedete questo nostro diritto con le buone oppure ce lo prendiamo con la forza» è il tono delle dichiarazioni politiche. «L’islam politico non ha più posto in Francia» ha tuonato Macron in risposta alle pulsioni secessioniste delle comunità islamiche, messe nero su bianco dai propri servizi. La realtà però racconta altro. Il paradosso è che il presidente francese ha fatto tale affermazione durante una visita a Mulhouse, in Alsazia, dove è appena stata inaugurata la più grande moschea d’Europa, pagata con i soldi degli emiri del Qatar. Altre sono in arrivo: almeno 300, in fase di costruzione, si andranno ad aggiungere così alle oltre 2.500 già presenti sul suolo francese. Tutte finanziate a vario titolo da Qatar, Arabia Saudita, Kuwait e l’onnipresente Turchia.

Ma, visto che l’islam non separa la cosa pubblica dalla religione, è evidente che il loro scopo è certamente politico e, ancor più, teso al proselitismo. Dunque, delle due l’una: Macron a Mulhouse ha annunciato misure importanti contro il «separatismo islamista», come la graduale interruzione dell’arrivo degli «imam distaccati», ovvero quelli inviati e pagati da altri Paesi. Il presidente francese vuole che in futuro gli imam che predicano in Francia debbano farlo esclusivamente in lingua francese e dimostrino di essersi formati qui e non altrove. Ciò nonostante, sono centinaia i predicatori itineranti che continuano ad affluire ogni anno in Europa durante il periodo del Ramadan (che quest’anno durerà dal 23 aprile al 23 maggio), senza alcun controllo su precedenti o idee radicali. Spesso si fermano ospitati delle moschee, e vi rimangono a tempo indeterminato.

Il trend è nettamente in crescita: secondo il ministero degli Interni, se nel 1976 in Francia le moschee erano appena 150, nel 1985 erano salite a 900, passando a 1.555 nel 2001, e oggi sono raddoppiate. Dunque, perché Macron si è sentito in dovere di fare simili affermazioni? Non soltanto per l’«affaire Mila». La risposta si trova tra le righe delle sue stesse dichiarazioni: «Il separatismo islamista è incompatibile con la libertà e l’uguaglianza, è incompatibile con l’in- divisibilità della Repubblica e la necessaria unità della nazione».

Il presidente teme davvero che alcune aree urbane, oggi densamente popolate da immigrati o comunque musulmani di seconda e terza generazione, possano sfuggire definitivamente al controllo di Parigi. Secondo il politologo francese Alexandre Del Valle, già autore del saggio Il Complesso Occidentale (Paesi Edizioni, 2019) che riflette approfonditamente sul tema, «Macron è il primo presidente dopo Charles De Gaulle ad aver osato descrivere la minaccia separatista islamista insita nella società francese e occidentale. Non solo ha chiesto la sostituzione degli imam stranieri con religiosi francesi e francofoni, ma ha anche aggiunto che le ideologie dell’islamismo radicale saranno combattute e poste fuori legge. Nel suo discorso, tenuto dopo la crisi diplomatica con la Turchia sulle scuole gestite da persone originarie di questo Paese, ha anche detto che avrebbe combattuto l’influenza negativa dei predicatori e degli insegnanti legati al governo dell’Akp di Erdogan, che incitano i musulmani francesi anon integrarsi. Questo è un vero passo avanti». Non è dello stesso avviso il celebre reporter Emmanuel Razavi, direttore di GlobalGeoNews.com e autore con Del Valle del libro Le Project (L’artilleur, 2019) sul radicalismo in Europa: «Personalmente non credo che il discorso del presidente della Re- pubblica cambi molto le cose. In effetti, non ha parlato della messa al bando dell’Uoif, che sostiene di far parte del movimento dei Fratelli musulmani. Macron ha parlato per metà dell’islam politico, ma non ha spiegato che in origine era un movimento islamico-rivoluzionario alla base del Dna di Al Qaeda, e che oggi dilaga nel nostro Paese attraverso una galassia di associazioni. Né ha parlato della paura e delle aggressioni contro gli ebrei di Francia, che vedono crescere un nuovo antisemitismo sotto i loro occhi, un fenomeno diffuso proprio nei quartieri controllati dai salafiti e dalla Fratellanza».

In ogni caso, a Mulhouse Macron ha voluto sottolineare anzitutto il primato della legge: «In Francia abbiamo il diritto alla blasfemia, alla critica della religione. Nel nostro Paese la libertà di espressione è protetta, così come la libertà di blasfemia».

Sarà anche così, ma intanto un sondaggio significativo in relazione all’«affaire Mila» appena commissionato del settimanale satirico Charlie Hebdo – sì, proprio quella che subì un terribile un attentato terroristico per mano dell’Isis nel gennaio 2015 – vede i francesi già spaccati a metà: 50 per cento a favore e 50 per cento contrari al diritto di criticare la religione.”.

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