COME ANDARE A MESSA E NON PERDERE LA FEDE (recensione a cura di David Taglieri)

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Quanto si è discusso a proposito del Concilio Vaticano II e delle sue possibili deformazioni! Si creano due fronti contrapposti, i pre-Concilio e gli anti-Concilio, svilendo così il significato dei cambiamenti e dell’ammodernamento della Chiesa.

Purtroppo capita che in molte parrocchie chi è a favore della Tradizione venga messo in minoranza se non addirittura creduto fuori dal mondo, senza alcuna mediazione da parte del sacerdote, che sposa spesso il progressismo sic et simpliciter.

Capita di fare richiesta per la convivenza fra progresso e tradizione, ma la gente non capisce e attacca: quasi che la Tradizione divenisse peccato.

Quando si parla di Concilio non si dovrebbero trascurare le due note essenziali della liturgia romana, sobrietà e nobiltà, qualità che si equilibrano l’una con l’altra.

Ce lo ricorda Don Nicola Bux, in “Come Andare a  Messa e non perdere la fede” (Piemme, pp. 191, con un contributo di Vittorio Messori).

Sacerdote  e docente nella diocesi di Bari, amico personale di Joseph Ratzinger, Mons. Bux è consultore in Vaticano alla Congregazione della Dottrina della fede; nominato di recente membro al Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente.

Si è occupato molto di arte sacra e liturgia; esperto in studi teologici orientalisti, collabora con varie riviste di apologetica.

Lo spirito del Concilio, afferma Bux, è stato assolutamente genuino, con lo scopo di avvicinare tutti alla Fede immergendosi nel mondo e manovrando le lezioni dell’Assoluto, dell’Altissimo che è andato incontro agli ultimi: il problema è che molti laici e sacerdoti hanno deciso di modulare le lezioni del Concilio a proprio piacimento, senza nemmeno magari conoscerne gli atti, la storia, le finalità.

Ad esempio un tempo il prete celebrava la Messa di spalle, il che non era un fatto elitario ma una rappresentazione della  giusta mediazione fra Dio e popolo, perché il teologo potesse far arrivare al popolo la portata del messaggio divino.

Invece in virtù di un finto egualitarismo si è voluto omologare tutto, annientando il principio di Gerarchia-Autorità, perché la luce proviene dall’alto, ma offuscati da una presunta grandezza individualistica gli uomini si coprono nell’ombra.

Anche la stessa sacralità resta avvilita: una certa arte per la contemplazione, in connubio con la musica per l’armonia, rimettono in pace con sé stessi e l’Infinito.

Pensiamo a quanto stordiscono le schitarrate in Chiesa con testi anonimi e musiche discutibili: gli stessi artisti di musica leggera e i rockettari affermano che quando vanno in Chiesa vogliono riconciliarsi con la quiete.

C’è un tempo per il rumore e gli effetti sonori ed un tempo per il silenzio e la riflessione.

E poi le omelie: quante volte certi preti personalizzano e dimenticano il senso delle Letture, parlano per mezzore e più, e alla fine il credente non ci capisce nulla.

Bisogna stare attenti a quelli che insinuano la concelebrazione del laicato: celebra solo il prete, certo i laici possono dare il loro contributo ma mai sostituire.

A ognuno il suo ruolo; travisando il dettato conciliare certe persone hanno frainteso i canoni e così le celebrazioni e le partecipazioni son divenute sciatte, superficiali, banali, lontane dalla sacralità.

Tutto per mettere in discussione Gerarchia e Tradizione, considerato binomio da condannare.

Una certa cultura sessantottina si è infiltrata anche negli ambienti religiosi. Saper trasmettere il Sacro con parole semplici ed efficaci: questa la missione del saggio. Certo la Messa va sentita, partecipata, vissuta con entusiasmo, ma bisogna evitare di ridurre l’atmosfera fra i fedeli ad un banale meeting  di quartiere…

Che modernità e tradizione convivano per trasmettere fede e un modo più sacro di connettersi verso l’alto.

Questa è la lezione di don Nicola Bux.

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