CONTRO L’OCCIDENTE, L’ASSE DEL MALE (di Marco Invernizzi)

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Non c’è solo Aleksej Naval’nyj. Ci sono i quasi 2000 prigionieri politici di Hong Kong, c’è un numero indecifrato di abitanti nei laogai (i gulag cinesi), i cui nomi impronunciabili non ne aiutano il ricordo; ci sono i tanti oppositori politici di Putin, i giornalisti e gli intellettuali assassinati o in prigione che vale sempre la pena di ricordare perché non si sta parlando in astratto ma di persone vere; ci sono le vittime della violenza della Giunta militare della Birmania, a cominciare dal Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi; ci sono gli abitanti di Taiwan che vivono sotto l’incubo dell’invasione cinese temendo di fare la fine di Hong Kong; ci sono gli abitanti dell’Iran, costretti a subire una sorta di totalitarismo islamico.

In questi paesi, Cina, Russia, Iran, Birmania e altri, tutti alleati fra loro in un potente “asse del male”, chi sfida il potere rischia sempre la libertà e spesso la morte.

È difficile sapere che cosa pensino questi uomini che hanno osato ribellarsi, quali siano le loro idee politiche e religiose; essi non hanno a disposizione le biblioteche per formarsi, quelle che noi in Occidente non frequentiamo, non hanno una stampa libera dalla quale informarsi e hanno poco agio di leggere buoni libri. Eppure, hanno offerto la loro vita per la libertà della propria patria.

Uno come Naval’nyj è coscientemente ritornato in Russia dopo essere stato avvelenato, supponendo la fine che avrebbe fatto e così dimostrando un coraggio straordinario. Gli ucraini che combattono e muoiono per la loro patria sono eroi per la testimonianza che danno, non per la visione del mondo che eventualmente hanno. Se ci sedessimo a un tavolo a parlare di cultura e di politica con la già Presidente della Birmania o con gli oppositori russi o cinesi dei rispettivi Stati, probabilmente troveremmo tante differenze e dissonanze, ma non è questo il problema. C’è una cosa che ci unisce: il valore della dignità e della libertà di ogni persona, diritti naturali che lo Stato deve soltanto riconoscere, ma che non è in suo potere attribuire o togliere. Certo la libertà non basta e spesso viene usata in Occidente come strumento per esaltare presunti diritti, come quello di uccidere i concepiti nel grembo materno. Ma un conto è denunciare chi in nome della libertà pretende che l’assassinio dei concepiti diventi un diritto, altra cosa è giustificare la classe dirigente al potere in Russia e in Cina quando elimina e incarcera gli oppositori politici.

Spesso, in Occidente, confondiamo la libertà con l’ideologia e ci dimentichiamo che l’ideologia dei diritti si fonda su una concezione della libertà falsa. Ma questo non deve farci dimenticare il valore fondamentale della dignità e della libertà della persona e dei popoli di potere esprimere critiche al potere, di avere una concezione del bene comune che prevede la libertà della società e rifiuta ogni forma di totalitarismo dello Stato.

Eppure, tutto questo fatica a penetrare nel corpo sociale dei paesi occidentali. Forse è proprio questo uno dei sintomi maggiori della nostra decadenza, di quell’odio di se dell’Europa che il card. Ratzinger aveva già denunciato decenni fa. È facile rispondere mostrando la corruzione e i tradimenti di alcune classi dirigenti occidentali, fuorviate da pessime ideologie. Ma mentre osserviamo la nostra civiltà ammalata, la lasciamo morire sotto l’aggressione esterna o ne difendiamo l’esistenza, così come è adesso, per poi cercare di migliorarla?

Come si può convincere i tanti italiani che coltivano, da molti decenni, sentimenti antioccidentali, le cui origini sono state descritte da uno studioso come Domenico Settembrini nel suo libro sulla Storia dell’idea antiborghese in Italia dal 1869 al 1989?

Una possibile chiave di lettura potrebbe essere l’idea di processo rivoluzionario. Il che significa prendere atto che l’Occidente oggi è gravemente ammalato, addirittura defunto se lo intendiamo come la cristianità nata dalla prima evangelizzazione. Ma la sua morte è il frutto di un processo e la sua rinascita può soltanto avvenire tramite un processo contrario, senza salti nel buio. Il che significa avere pazienza storica, partire dalla situazione così come è, denunciare come tradimento il terzaforzismo che oggi fa il gioco di Xi Jinping e di Putin, come durante la Guerra fredda serviva all’URSS e all’Internazionale comunista.

Terzaforzisti oggi sono coloro che faticano ad ammettere che la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina, che non hanno parole per chi viene assassinato o imprigionato perché contrario al potere russo, sono quelli animati da un antiamericanismo così potente da provare simpatia per chiunque si opponga all’influenza degli americani.

Mentre il processo rivoluzionario portava l’Occidente alla situazione attuale, dominata dal relativismo, questo “asse del male” si organizzava per conquistarlo, non per aiutarlo a ritrovare la strada perduta. E come sarebbe potuto accadere diversamente?

Cosa potrebbero insegnare la Cina ancora comunista o la Russia di Putin che elimina gli avversari e mette fuori legge la Chiesa cattolica nelle zone occupate dell’Ucraina, o l’Iran che impone la religione con la violenza del potere?

In questo mondo “esploso” dopo il 1989, è stata dichiarata una guerra, non virtuale ma terribilmente sanguinosa, contro il sistema politico occidentale, che ancora in qualche modo garantisce la sopravvivenza di alcuni diritti fondamentali per i singoli e per i popoli.

Lo ha ricordato il Presidente del Consiglio italiano convocando la riunione del G7, la prima a guida italiana, a Kiev, nella capitale della nazione aggredita dall’asse del male. Giorgia Meloni credo abbia voluto ricordare a tutto il mondo la differenza che ancora esiste fra chi difende le libertà dei popoli e chi le vuole sopprimere.

Dalla guerra si esce definitivamente soltanto con una pace giusta e rispettosa dei diritti dei popoli. Bene fanno coloro che si sforzano in questa direzione, a cominciare dalla Santa Sede. Ma la pace presuppone la verità, oltre alla giustizia. E allora raccontiamo la verità, senza complessi di inferiorità nei confronti di coloro che sembrano capaci soltanto di odiare.