COSE TURCHE: LA TRAGEDIA DEI GRECI DEL PONTO

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TatsosNon ho mai saputo che mia nonna Eratò fosse una profuga, né che la mia famiglia paterna fosse stata costretta con la forza a lasciare il Paese dove era nata…”. Così racconta Maria Tatsos, che solo da adulta ha scoperto di discendere da un popolo che è stato vittima di una delle prime operazioni di pulizia etnica del Novecento. All’inizio del Novecento circa 700.000 Greci vivevano sulle sponde del Mar Nero, in quella zona della Turchia settentrionale che si estende fra i non lontani confini georgiani e l’Asia Minore, terra da sempre abitata da Greci.

Ai tempi della vicenda raccontata nel suo libro “La ragazza del Mar Nero. La tragedia dei Greci del Ponto” (Edizioni Paoline, 2016, pagg. 211) Eratò (la nonna dell’Autrice) è una ragazza della comunità greca che dal tempo dei Romani d’Oriente (Bizantini) vive nel Ponto. Non a caso vengono anche chiamati – per via dell’antica discendenza bizantina –  Romiì.

Di fede cristiano-ortodossa, nei secoli i Graci del Ponto avevano salvaguardato la loto identità etnica, culturale, linguistica e religiosa, pur costretti a far parte dell’Impero Ottomano.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale, al noto genocidio degli Armeni segue la persecuzione dei Greci e degli Assiri, anch’essi cristiani.

Scrive Maria Tatsos: “Dopo aver assaporato il piacere del saccheggio e del furto delle ricchezze altrui a danno della comunità armena nel 1915, i turchi iniziarono ad accarezzare l’idea di eliminare un’altra comunità cristiana economicamente potente, quella greca. Nel Ponto, significava mettere mano a proprietà terriere e a case, cantieri navali, miniere, banche attività commerciali… “ (pag. 124). E’ bene ricordare che la borghesia cristiana, tanto armena che greca, era agiata perché i Turchi disprezzavano le professioni liberali e le attività imprenditoriali, preferendo servire nei ranghi dell’esercito o dell’amministrazione ottomana. Lasciavano dunque ben volentieri ai cristiani il compito di “sporcarsi le mani” negli affari.

La politica attuata tra il 1916 e il 1923 (dunque a guerra mondiale già conclusa!) nei confronti dei Romiì porta così a massacri, deportazioni, marce forzate, stupri etnici, arruolamento degli uomini nei battaglioni di lavoro. E’ l’esito tragico della decisione delle Autorità turche, le quali stabiliscono che la Turchia deve essere interamente e solo musulmana. Il metropolita di Amassia, Ghermanos Karavanghelis, scrisse il 19 maggio 1919: “I cristiani sono considerati esclusi dalla protezione legale. Le bande turche, organizzate e armate dal Governo, agiscono secondo il programma di sterminio (…). I cittadini cristiani sono considerati come criminali, solo perché sono rimasti fedeli alle proprie tradizioni e hanno rifiutato con grande ostinazione di convertirsi all’Islam.” (pagg. 161-162).

Le famiglie cristiane sopravvissute alle esecuzioni sommarie e alle marce forzate in condizioni di fame, freddo e sporcizia (le stesse toccate in sorte agli Armeni), devono abbandonare tutto e fuggire, se vogliono avere salva la vita.

I pochi che riescono a salvarsi troveranno rifugio nella vicina Grecia, accogliente ma per loro sconosciuta, dove riusciranno a costruirsi un futuro, senza però mai dimenticare le proprie radici.

II libro di Maria Tatsos narra dunque la vera storia di una di queste famiglie, costrette dalla furia islamista a perdere la propria identità storica e la felice e tranquilla vita sulle sponde del Mar Nero…

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