DAVANTI AL PROTAGONISTA. ALLE RADICI DELLA LITURGIA (di Francesco Corsi e Simonetta Catalano)

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Benedetto_XVI_-_Davanti_al_protagonista“La liturgia non deve essere il terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche. In questi ultimi decenni congetture di esperti sono entrate troppo rapidamente nella pratica liturgica, spesso anche passando a lato dell’autorità ecclesiastica, tramite il canale di commissioni che seppero divulgare a livello internazionale il loro consenso del momento e nella pratica seppero trasformarlo in legge liturgica. La liturgia trae la sua grandezza da ciò che essa è e non da ciò che noi ne facciamo. La nostra partecipazione è certamente necessaria, ma come un mezzo per inserirci umilmente nello spirito della liturgia e per servire Colui che è il vero soggetto della liturgia: Gesù Cristo.”

Con tali parole di Joseph Ratzinger ha inizio il nuovo volume pubblicato dalle Edizioni Cantagalli, il cui Autore è il medesimo Benedetto XVI: “ Davanti al Protagonista. Alle radici della liturgia”   (2009, Siena, pagg. 232, euro 15,00).

Con quest’opera il Papa ricerca la forma della Liturgia come punto di riferimento della vita, al pari di Michelangelo che voleva riportare alla luce con l’azione artistica ciò che era essenziale alla purezza della forma. In questo processo produttivo della scultura l’elemento dell’esecuzione materiale passa quasi in secondo piano ed è esattamente ciò che cerca di fare il Papa conducendo una ablatio, l’eliminazione di tutto ciò ch e non lascia emergere Dio nella sua purezza e autentica luce. La Riforma vuole riproporre il contemplare, nel quale l’uomo si fa da parte di fronte al Vero Protagonista della Liturgia: Dio. La liturgia  infatti non può essere protagonismo umano e arbitrario attivismo.

Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, ma di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana” e “quanti più apparati costruiamo, siano anche i più moderni, tanto meno c’è spazio per lo Spirito”.

La Chiesa non ci deve tenere occupati come se fosse una qualsiasi associazione benefica, ma deve diventare l’accesso alla vita eterna. La dimensione dell’accoglienza attraverso il perdono è quella dimensione che se si oscura genera una crisi spirituale che investe ogni aspetto della società. Bisogna capire che la crisi non è della Chiesa perché non si è ammodernata abbastanza, ma la crisi riguarda la presenza di Dio nel mondo secolarizzato.

La Chiesa nasce come miracolo delle lingue, come capacità di essere universale, precedendo le chiese locali attraverso i sacramenti.

Ci si interroga se adattare la liturgia al mondo moderno, soprattutto perché si è attribuita sempre più importanza al sacerdote in persona, senza comprendere che il vero Protagonista è qualcosa di molto più grande, la cui presenza si sottrae al la manipolazione contingente e arbitraria.

Al centro sta la Parola annunciata, non il sacerdote. Il problema è che non si tollera più che la Chiesa si esprima nella propria identità e predichi qualcosa che non sia pluralistico e indifferenziatamente multiculturalista.

Non ha bellezza né apparenza: un volto sfigurato dal dolore … Il più bello tra gli uomini è misero d’aspetto tanto che non lo si vuole guardare. Pilato lo presenta alla folla dicendo: Ecce homo”.  Di fronte ad un’estetica di superficie che coglie solo il lato esteriore della bellezza, la bellezza del Cristo dialoga con la dimensione imprescindibile della vita, con il dolore. La bellezza ferisce perché richiama il destino ultimo dell’uomo, pone l’uomo al cospetto con il tema dell’eterno e della morte. Le anime degli amanti – come dice Platone nel Simposio – sono assetate di qualcos’altro che non sia il piacere amoroso, sono assetate di conoscenza, di una conoscenza ultima.

Ecco allora che la liturgia apre la dimensione della bellezza, attraverso l’icona e la forma del rituale e ci fa evadere dal quotidiano in modo liberante. Come il gioco dei bambini anticipa la vita, così la liturgia anticipa la vita eterna, crea un ponte con la dimensione celeste facendo assaporare qualcosa del paradiso. In questo paragone si coglie il senso di libertà che la forma liturgica lascia emergere, quanto più è aderente al divino e quanto più è epurata dalla contingenza umana.

È insensato contrapporre il dono della terra promessa al culto, perché la vita sulla terra è un vero dono solo se vi regna Dio. Il popolo per questo riceve un ordinamento giuridico, perché senza di esso non può sussistere neppure come tale, ma vi è anarchia: l’anarchia è una parodia della libertà dove l’arbitrio di ciascuno finisce per uccidere la libertà medesima.

Il culto allora deve abbracciare la vita illuminandola tramite una forma che porta un po’ di cielo sulla terra. Il culto non può diventare danza attorno al vitello d’oro, altrimenti si cade nell’idolatria e si abbassa Dio alla nostra dimensione piuttosto che elevarci noi alla Sua. Non può quindi essere culto di consumo in cui la priorità è assegnata all’autosoddisfacimento.

Nella festa liturgica si salta dal ruolo che recitiamo ogni giorno, all’essere che ci libera e ci fa sentire tutti parte dello stesso mondo, della stessa comunità. La dimensione comunitaria, pertanto, si illumina a partire dalla forma liturgica e non dal mero stare insieme: il fatto della cena non ha quindi la priorità, ma la priorità sta nello Spirito dell’Eucarestia e nella Teologia della Croce. Il Cristo è lògos, parola per annullarsi nel silenzio della morte che prelude alla festa della resurrezione, sulla quale si incentra la Buona Novella. Così centrale è il ruolo dell’Oratio, la preghiera come momento di contemplazione che unico può fondare un autentico fare che non scivoli in un pragmatismo privo di spiritualità.

Al progressismo riformatore Benedetto XVI contrappone una Riforma della Riforma, in cui la Chiesa è un organismo vivente che cresce e muta, ma non è mai mero artificio umano, “regolato da meccanismi che si possono smontare e rimontare a proprio piacimento”.

Bisogna piuttosto risvegliare il senso interiore del sacro in cui il vero actus liturgico è l’oratio. E l’uomo attraverso la liturgia che si fa vita, che si attua nella concretezza della vita morale, è chiamato a compiere un’ascesi della carne per disporre il proprio corpo alla risurrezione, al regno di Dio.

Al di sopra delle polemiche fra progressisti e conservatori, Benedetto XVI in questo libro si presenta come contemplatore, come uomo commosso dalla bellezza dell’ unico Protagonista della liturgia, Cristo. Guidandoci per un percorso di testi diversi fra loro, ci educa a guardare alla Chiesa, alla sua Tradizione e alla sua natura, non come spazio per la nostra affermazione, ma come luogo per accogliere il dono di Cristo.

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