DONNE IN AFGHANISTAN (Il Corriere del Sud, n°2 – 15 marzo 2008)

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200px-burqa_afghanistan_01.jpg Nel libro “Zoya, la mia storia” (Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2002), la nonna della protagonista, un’attivista afghana di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) così ricorda la propria esperienza matrimoniale: “…Tuo nonno era senza cuore. Arrivava a casa con una decina di amici e mi or dinava di preparare subito il pranzo. E doveva essere un pranzo ricco, con tante portate. Una volta gli dissi: sono troppo stanca. Sono la tua serva, ma anche le serve sono esseri umani…E non abbiamo abbastanza piatti per tutti. Lo dissi di fronte ai suoi amici, e lui andò a prendere i suoi stivali, grossi stivali che usava per camminare nella neve, e mi colpì con quelli. Quella fu la prima volta che mi picchiò di fronte ai suoi amici”.

La cosa davvero strana è che nessuno dei presenti ebbe a meravigliarsi più di tanto: “…Per loro era normale. Anche loro picchiavano le mogli, e nessuno aveva il diritto di difenderle. Le picchiavano anche quando erano incinte. Quando finì di colpirmi con gli stivali, mi ordinò di chiedere in prestito i piatti ai vicini e cucinare. E il pomeriggio, quando i suoi amici se ne erano andati, mi picchiò ancora…”. Eppure questa donna, la nonna di Zoya, non era una sposa qualsiasi, ma la figlia di un autorevole mullah, il quale, nonostante fosse perfettamente a conoscenza dei maltrattamenti subiti dalla figlia, continuava a raccomandarle dedizione e tolleranza nei confronti del marito. Normalmente in Afghanistan i religiosi replicano in questo modo alle denunce di violenze coniugali: la sottomissione della donna è giudicata cosa buona e gradita ad Allah.

RAWA è un movimento femminile di difesa e salvaguardia della dignità della donna, oggi fortemente spostato su posizioni anti-americane e collegato con movimenti della sinistra europea ed italiana. Su internet sono presenti diversi siti che fanno capo a tale movimento, che inneggiano contro i signori della guerra, ma pure contro gli U.S.A. Visitandoli si ha chiara la consapevolezza che anche dopo la scomparsa dei Talebani dalla scena politica di Kabul, restano le discriminazioni verso le donne. Il burqa continua a persistere: per paura di essere additate e diventare oggetto di gratuita violenza, la stragrande maggioranza delle donne afgane continua ad indossarlo, fra mille, piccole e grandi sopraffazioni. Come noto il burqa impedisce di vedere bene, e talora è causa di incidenti: il burqa si impiglia dappertutto, va a fuoco facilmente…

Dunque secondo le femministe di RAWA con l’arrivo degli uomini dell’Alleanza del Nord e dei loro alleati statunitensi le cose non sarebbero per nulla cambiate in questi anni. Anzi: fondamentalisti gli uni, fondamentalisti gli altri…Nell’ambito del lavoro, per esempio, il posto è a rischio per quelle donne che si facciano fotografare a volto scoperto, senza velo. E’ così che la signora Marzeya Basil, 44 anni, funzionaria del Ministero della Giustizia, a fine 2002 fu licenziata perché fotografata senza alcuna copertura sul viso durante un incontro ufficiale, addirittura con il presidente George W. Bush negli Stati Uniti. La signora Basil faceva parte di un gruppo di 14 funzionarie governative afghane che seguivano un corso di informatica dietro invito statunitense.

La Signora Sima Samar, già Ministro per la Condizione femminile all’indomani della caduta dei Talebani, nel 2002 fu costretta alle dimissioni perché accusata di aver diffamato l’Islam; in seguito è diventata presidente della Commissione indipendente per i diritti dell’uomo.

Il libraio di Kabul” (Sonzogno Editore, 2003), altro libro dove si parla della condizione femminile in Afghanistan, diventato in breve tempo un best-seller, racconta di come le donne negli autobus siano costrette ad accalcarsi nelle ultime tre file sovraffollate, a loro espressamente riservate anche quando il mezzo è comunque semivuoto. Tutto ciò per evitare il contatto e la prossimità con gli uomini. Ancora: le donne sono costrette a raggomitolarsi nel bagagliaio dei taxi, avvolte nel loro burqa, se per caso nel sedile posteriore del mezzo pubblico sia seduto un uomo (pagg.12-13).

Il Corriere della Sera del 23 ottobre 2004, nel suo supplemento femminile “Io donna”, riportava la notizia dell’uxoricidio della ventunenne Soraya. Nonostante il marito sulle prime avesse accettato che la moglie ricoprisse il ruolo di attrice protagonista in un film sulla condizione femminile in Afghanistan, successivamente se ne era pentito. Quindi per lavare l’onore, macchiato dal fatto che la propria moglie si fosse esibita in pubblico, pensò bene di ucciderla. Tutto ciò proprio a causa di un film che aveva lo scopo di far riflettere sullo stato dei diritti civili delle donne. La pellicola denunciava, in particolare, la situazione di tante giovani madri, spesso perseguitate dalle proprie famiglie soltanto perché non riescono a dare alla luce un figlio maschio, considerato una benedizione dalla tradizione e dalle convenzioni sociali. C’è poi la triste consuetudine della compravendita delle ragazze a scopo matrimoniale fra clan familiari, per non parlare della piaga dei rapimenti e degli stupri, che privano irrimediabilmente le giovani del proprio onore, anche se sono semplicemente vittime dei loro carnefici. In questa situazione non meraviglia l’alto tasso di suicidio fra le donne.

Alle femministe di RAWA e ai loro simpatizzanti occidentali bisognerebbe però far capire che la presenza delle forze U.S.A. e di quelle NATO della missione ISAF non è in grado, in pochi anni, di sovvertire credenze religiose e costumi secolari.

Secondo alcuni opinionisti, comunque, la caduta del regime dei Talebani ha portato, sia pure fra mille difficoltà, ad un miglioramento della condizione femminile. Le b ambine, t anto per fare un esempio, sono ritornate a scuola, almeno nella capitale. Alcune ragazze privilegiate hanno potuto prendere la patente di guida. Il processo di liberazione sicuramente è ancora lungo e difficile; anzi è appena agli inizi.

In tale prospettiva il varo della nuova Costituzione afghana, avvenuto il 4 gennaio 2004, è diventato un avvenimento importante per la gente di questo grande Paese, stanca di violenza e di guerre. Il 4 gennaio Hamid Karzai, allora Capo del Governo e oggi Presidente della Repubblica democraticamente eletto, dopo tre settimane di estenuanti trattative, riuscì a far votare dalla Loya Jirga, la grande assemblea tribale, la nuova Costituzione dell’Afghanistan. Documento importantissimo almeno per due motivi: innanzitutto riunisce tutte le etnie intorno ad un comune progetto politico. In secondo luogo, non riconosce la sharia, la legge islamica, assicurando, almeno in teoria, pari diritti e dignità a uomini e donne. Per un Paese che soltanto fino a pochi anni fa considerava le donne quali esseri inferiori, la cui minima trasgressione alla tradizione islamica veniva pagata con la fustigazione o con la lapidazione, questo è diventato un risultato insperato. Ma, soprattutto, la nuova Costituzione, in questo senso unica nel contesto islamico, garantisce una cospicua rappresentanza “rosa”, prevedendo espressamente l’obbligo di due parlamentari elette per ogni provincia (il 27% di tutti i seggi della camera bassa del parlamento).

Sta di fatto che per la prima volta dopo anni sono riapparse alla televisione afghana i volti di alcune cantanti, che erano state delle celebrità negli anni ’70 e ’80. Contro la Corte Suprema islamica, che ha fortemente censurato l’iniziativa della televisione, è dovuto intervenire direttamente il Presidente Karzai, che ancora una volta ha difeso l’autonomia del nuovo governo in questo tipo di decisioni (“Karzai si impone: in TV tornano le cantanti vietate”, Avvenire, 18 gennaio 2004, pag. 11).

E’ così successo che una popolarità travolgente ha accompagnato il programma “Afghan star”, concorso televisivo per giovani cantanti.

La finale canora di venerdì 14 marzo 2008 è stata seguitissima in tutto il Paese, nonostante le minacce di morte siano piovute numerose sulla principale protagonista, la giovane cantante Lima Sahar, apparsa in televisione nel tradizionale abito pasthun, ma con il volto scoperto. Divenuta una vera star della canzone afghana, l’attesa per la sua esibizione è stata talmente grande che tutti i possessori di TV si sono incollati dinanzi al programma (“La voce di una ragazza fa tremare l’Afghanistan”, il Giornale, giovedì 13 marzo 2008, pag. 14).

Ora i Talebani le danno la caccia, e Lima Sahar è costretta a girare con la protezione della scorta garantitale dal governatore di Kandahar…

Insomma nella città di Kabul le donne possono camminare e lavorare con una certa libertà, anche se gli islamisti e i loro tribunali sono sempre dietro l’angolo…

Ancora molte ombre, dunque, ma anche qualche luce, sulla condizione della donna nel nuovo Afghanistan.

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