DUCH, DA KHMER ROSSO A CRISTIANO: IL SOLO A CHIEDERE PERDONO (Corriere del Giorno, 30 dicembre 2009, pag. 32)

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Hun Sen(Nella foto: Hun Sen, attuale primo ministro della Cambogia).

Lo scorso 25 novembre qualche agenzia di stampa ha diffuso la notizia della richiesta di 40 anni di reclusione formulata dall’accusa nel corso del procedimento a carico di Kaing Guek Eav – il “compagno Duch” -, responsabile della prigione di Tuol Sleng durante il regime dei Khmer rossi (1975-1979). Dinanzi al Tribunale internazionale appositamente istituito per giudicare i crimini dei comunisti cambogiani, Kaing ha riconosciuto di “essere stato un membro delle forze di Pol Pot, e di conseguenza di essere psicologicamente responsabile, di fronte all’intera popolazione cambogiana, per le anime dei morti”.

Duch, che aveva già chiesto più volte perdono per la morte di 15 mila persone (meno di un centesimo del totale delle vittime) nel carcere-simbolo del genocidio cambogiano, ha aggiunto di essere “…profondamente rammaricato e colpito da una distruzione di scala così ampia”. 

La fine del processo, il primo contro un ex membro del regime costato un milione e settecentomila morti, è prevista per marzo 2010.

Quello che davvero in pochi hanno sottolineato, ma che ci viene riferito da Asia News, l’Agenzia di stampa del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), è che l’ex dirigente khmer da circa 15 anni si è convertito al cristianesimo: “Per Duch la presa di coscienza dei crimini commessi e la richiesta di perdono sono il frutto di un lungo cammino iniziato nel 1996, quando ha abbracciato il cristianesimo, avendo come amico un pastore protestante in un villaggio vicino a Battambag” (Asia News, maggio 2009, pag.19). Ben diverso ovviamente il comportamento di molti attuali dirigenti politici cambogiani, pur collusi con il vecchio regime. Hun Sen, attuale primo ministro della Cambogia ed ex funzionario del regime di Pol Pot, poi sostenuto dai comunisti vietnamiti, ha respinto con sdegno la richiesta di comparire in aula, dichiarando che preferisce piuttosto “vedere morto il Tribunale per mancanza di fondi”. In effetti Hun Sen da sempre ha remato contro l’istituzione del processo internazionale, e quando l’accordo tra Phnom Penh e l’Onu è diventato inevitabile ha fatto in modo che la portata delle indagini si limitasse a pochis simi criminali conclamati.

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