FEDERALISMO ALL’IRACHENA (L’Ora del Salento, 19 luglio 2008, pag. 11)

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OSSERVATORIO GEOPOLITICO

a cura di Roberto Cavallo

Gli USA sono pronti ad avviare nei prossimi mesi un graduale ritiro del proprio contingente militare dall’Iraq, a seguito della positiva gestione della crisi da parte del generale David Petraeus. Dalla fine del 2007 sono infatti oggettivamente diminuiti gli attentati terroristici ed interconfessionali che negli anni scorsi disseminavano di vittime il Paese. La più massiccia presenza di truppe (il c.d. surge) è stata una delle chiavi del successo. L’altra è legata ai migliorati rapporti con i gruppi religiosi locali, dai Kurdi agli Sciiti, senza dimenticare i capi clan sunniti che finalmente si sono staccati dalle frange terroristiche vicine ad Al Qaeda. Ancora, sia ben chiaro, non sono tutte rose e fiori, ma è indubbio che passi avanti siano stati compiuti.

Un elemento importante all’interno di questo quadro è rappresentato dalla prospettiva “federalista”, che, quasi inconsapevolmente, si è insinuata nello scenario politico iracheno. Di quale federalismo si tratta ? E’ presto detto. Negli ultimi tempi si è consolidato un processo migratorio interno, che ha portato gli appartenenti delle diverse etnie a concentrarsi nei luoghi di tradizionale prevalenza: gli Sciiti nel sud, i Kurdi nel nord, i Sunniti al centro. Resistono ovviamente zone grigie, come Mossul e Kirkuk, dove ancora più alta è la tensione.

In questo strisciante progetto federalista un posticino spetterebbe pure ai Cristiani delle diverse denominazioni che, più di tutti gli altri, hanno subito le conseguenze della guerra. Schiacciati da estremisti Sunniti e Sciiti perché ingiustamente sospettati di appoggiare i “Crociati” occidentali, hanno in questi anni subito violenze, uccisioni, stupri sulle loro donne, ricatti, distruzioni di chiese e quanto di peggio si possa immaginare. Il numero dei Cristiani iracheni così è drasticamente diminuito, perché chi ha potuto è fuggito all’estero. Fra quelli rimasti, in molti – specie da Baghdad – hanno scelto la strada della piana di Ninive, all’ interno della regione kurda. Nella pianura di Ninive si è così rinforzata una minuscola enclave di villaggi a maggioranza cristiana. E anche se l’idea di un autonomo safe haven (porto sicuro), all’interno del più vasto Stato federale, non entusiasma le autorità ecclesiastiche locali, molti laici invece vi intravedono l’unica reale ancora di salvezza per impedire l’estinzione del millenario cristianesimo iracheno.

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