I GESUITI E LA RIVOLUZIONE ITALIANA NEL 1848: COLPIRE LA COMPAGNIA PER COLPIRE LA CHIESA (Il Corriere del Sud)

1895

igesuiti.jpg Se nell’odierno immaginario laicista ed agnostico l’Opus Dei occupa un posto di rilievo come bersaglio privilegiato per ogni tipo di accusa e di sospetto – anche infamante -, nei secoli scorsi (almeno a partire dall’Illuminismo) tale sgradevole primato spettò alla Compagnia di Gesù.

Il recente saggio di Giuseppe Brienza I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848” (2007, pagg.63, euro 7) pubblicato per i tipi delle Edizioni Solfanelli (collana Saperi/Storia) delinea il quadro politico che nella prima metà del XIX secolo condusse alla persecuzione dell’Ordine, in un’Italia infiammata dall’ebbrezza rivoluzionaria liberale. La ricostruzione di Giuseppe Brienza non si pone come puro esercizio storico, ma è emblematica di tutto quanto accadde nel periodo che va dalla Restaurazione sino alle soglie dell’Unità d’Italia, e che ebbe in pochi anni la capacità di modificare profondamente gli assetti culturali e istituzionali dell’ Italia del tempo.

Già nel ‘700 le correnti illuministe e massoniche si erano prodigate nell’ influenzare le cort i europee contro i Gesuiti, che rappresentavano la punta di diamante della cultura cattolica. Si giunse così alla soppressione della Compagnia nel 1773 ad opera di Papa Clemente XIV (1769-1774), misura indotta dalla campagna calunniosa in atto e che provocò in tutto il mondo la sensibile riduzione del numero dei religiosi ignaziani: da 24.000 ad appena 600.

Ristabiliti dopo il vortice sanguinoso delle guerre napoleoniche, a partire dal 1814 i Gesuiti divennero di nuovo i più attivi difensori del Papa, “…una vera e propria elite militante in favore dell’ortodossia e dei diritti della Chiesa” (pag.6), e specie in Italia si assiste ad un aumento esponenziale delle vocazioni.

Ma nell’Europa della Restaurazione i germi del liberalismo anticattolico non impiegarono molto tempo a proliferare e a dar vita a nuove campagne diffamatorie: nonostante i Gesuiti non si occupassero direttamente di politica e, conformemente alla dottrina sociale della Chiesa, non appoggiassero una particolare tipologia di regime politico a detrimento di altre, tuttavia svolgevano un ruolo determinante nella difesa dei diritti delle comunità cattoliche e nella formazione autenticamente cristiana della gioventù. Il preludio delle persecuzioni in Italia si ebbe in Svizzera, dove il governo federale aveva imposto per decreto la chiusura dei conventi e lo scioglimento degli ordini religiosi. Per protesta nel dicembre 1845 sette cantoni a maggioranza cattolici si riunirono nella Lega del Sonderbund. Tale Lega nel luglio del 1847 fu dichiarata fuori legge dalla Dieta federale, dove i Protestanti e i liberali godevano della maggioranza: nella breve guerra civile che ne scaturì i Cattolici furono duramente battuti e dovettero accettare la fine di tutte le proprie autonomie amministrative.

Ne seguì “…il 3 settembre del 1847 l’espulsione dei Gesuiti da tutto il territorio svizzero (bando che si protrarrà addirittura sino al 1973)” (pag.13). L’espulsione dei Gesuiti dal territorio nazionale diventava oggetto specifico dell’art.58 della nuova costituzione elvetica.

Sulla scorta degli eventi svizzeri, in Italia la nuova ondata antigesuitica montò anche grazie all’attività pubblicistica di padre Vincenzo Gioberti, considerato fra gli intellettuali più “moderati” del risorgimento italiano.

Nonostante che il suo “Primato morale e civile degli Italiani” avesse incontrato l’apprezzamento e anche il plauso della Compagnia di Gesù, preoccupato di perdere consenso presso il partito liberale, Gioberti assunse un atteggiamento sempre più marcatamente aggressivo, fino ad attaccare direttamente la Compagnia con il libello “Il moderno gesuita”.

Era il segnale atteso. Campagne di stampa e violenze di piazza furono un tutt’uno; a partire dal Regno di Sardegna dove il Re Carlo Alberto aveva concesso lo statuto e aveva promulgato leggi che espellevano i Gesuiti dal Regno, nel clima generale rivoluzionario del 1848 persino nello Stato pontificio i religiosi di S. Ignazio non erano più al sicuro: “…il 28 marzo 1848 il papa stesso fece sapere al generale padre Jan Roothan (1785-1853) che egli non era più in grado di garantire la loro incolumità e quindi, pur rendendo omaggio ai meriti della Compagnia, li pregava di lasciare gli Stati pontifici.” (pag.48).

Ma nel novembre del 1848 anche a Roma i giochi dei Rivoluzionari sono ormai chiari, e l’escalation di aggressività anticattolica costringerà lo stesso Pio IX a fuggire a Gaeta.

Durante l’effimera Repubblica Romana che ne seguì, si registrarono “…le occupazioni di conventi, le profanazioni delle chiese, i massacri di sacerdoti, secondo il modello tipico di ogni Rivoluzione”. Anche gli insigni monumenti dell’arte sacra non furono risparmiati, e lo stesso Mazzini, partendo da Roma dopo la sconfitta dei Repubblicani completamente privi del sostegno popolare, si portò dietro in esilio “…molti oggetti preziosi rubati nelle chiese di Roma” (pag.46).

Quanto ai Gesuiti, in tanti in quel 1848 furono dunque costretti ad abbandonare l’Italia, ma la Provvidenza volle che gli Stati presso cui trovarono rifugio, specialmente Inghilterra e Stati Uniti, divenissero fertile terreno di apostolato e di nuove vocazioni ignaziane. Non solo: accusati di oscurantismo dalla vulgata liberale italiana, molti padri all’estero si distinsero proprio per la loro cultura e per i molteplici successi nel campo delle scienze, raggiungendo notorietà mondiale. Fra questi i padri Francesco de Vico e Angelo Secchi, considerati ancora oggi i pionieri dell’astrofisica moderna.

Roberto Cavallo

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